La Corte Costituzionale tedesca fa una crepa nell’Unione Europea

di Dario Rivolta *

La sentenza della Corte costituzionale tedesca del 5 maggio scorso è di particolare importanza nonostante alcuni commentatori l’abbiano sottostimata. Qualcuno è arrivato a sostenere che il giudizio dei magistrati tedeschi non cambi nulla per la Banca Centrale Europea ma si sbaglia di molto perché il suo effetto sarà come quello di una bomba a grappolo che colpirà in più direzioni.
Vediamo di cosa si tratta esattamente.
Il procedimento è cominciato a seguito della denuncia presentata da alcuni politici tedeschi dell’AFD e della CDU che accusavano la Banca Centrale europea di fare operazioni che eccedevano i propri compiti statutari. I ricorrenti sostenevano che anziché limitarsi a svolgere una politica monetaria come previsto dal suo Statuto, la BCE aveva dato vita ad un’azione vera e propria di politica economica per aiutare Stati che si trovavano in difficoltà finanziaria (vedi Italia, Spagna e similari). La questione riguardava le operazioni di acquisto dei Titoli di Stato effettuati da Mario Draghi a partire dal 2015, quando era Presidente. La sentenza del 5 maggio non riguarda quindi gli acquisti effettuati recentemente ma strettamente solo quelli del passato. Ovviamente, però, finirà con l’influire anche sul futuro. Interpellata dalla stessa Corte Costituzionale tedesca, la Corte di Giustizia Europea aveva dichiarato nel 2018 che in quelle operazioni non vi era nulla di illegale che eccedesse i compiti della stessa BCE e che il tutto andava considerato come perfettamente regolare. La sentenza emessa dai giudici di Karlsruhe statuisce che potrebbe realmente trattarsi di una attività corretta, purché tuttavia fossero rispettate tutte le condizioni previste dallo Statuto della Banca Centrale stessa. Cioè che i Titoli di Stato di ogni Paese acquistati non siano superiori come entità alla percentuale di capitale che ogni stato possiede all’interno della banca stessa. Poiché l’Italia partecipa alla BCE con il 13,8%, i Buoni del Tesoro italiani comperati da Francoforte, in proporzione al totale degli acquisti di buoni del tesoro della zona euro, non dovrebbe aver superato tale percentuale. Inoltre, la Corte sospetta che acquisti di volume così importante come quelli avviati da Draghi nel 2015 possono aver causato “effetti economici sproporzionati” rispetto al mandato di pura politica monetaria.
In realtà, l’acquisto ordinato da Draghi e continuato dalla Lagarde fu effettuato sulla base di un programma chiamato PSPP (Public Sector Purchase Programme). Fino al febbraio scorso per ogni 100 milioni di euro in titoli statali, la BCE ne comperava 27 milioni in Bund tedeschi, 19 milioni in OAT francesi e 14 milioni in BTP italiani. La proporzione era quindi rispettata. Già nel marzo scorso, tenuto conto degli attacchi speculativi contro il debito pubblico italiano, la BCE ha investito invece 12 miliardi in BTP e soltanto 2 miliardi in Bund. Oggettivamente, questi ultimi acquisti hanno ecceduto la proporzionalità prevista. Qualora si dovessero ora seguire le indicazioni della Corte Costituzionale tedesca, la BCE sarebbe obbligata o a ridurre l’acquisto di titoli di stato italiani o ad aumentare quelli degli altri Paesi. La naturale conseguenza sarebbe che lo spread tra l’interesse pagato dai tedeschi e quello a carico dei nostri BTP non potrebbe che aumentare.
Per quanto riguarda gli “effetti economici” i giudici tedeschi chiedono alla Banca di Francoforte di dimostrare in un tempo massimo di tre mesi e in modo comprensibile e comprovato che gli obiettivi di politica monetaria perseguiti dal PSPP non siano sproporzionati rispetto ai compiti statutari di carattere puramente monetario. Qualora le spiegazioni della BCE non fossero considerate soddisfacenti, la Banca Centrale Tedesca dovrebbe ritirarsi dal capitale della stessa e non contribuire più al suo finanziamento. Impongono inoltre sia al governo di Berlino che alla Banca Centrale di sorvegliare (rimproverandoli di non averlo fatto nel passato) l’operato della BCE per assicurare che tutti i dovuti requisiti siano costantemente rispettati.
Attualmente, a causa della pandemia da coronavirus, al PSPP si è affiancato un altro programma considerato di emergenza, il PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme) che però non è preso in considerazione dalla sentenza (salvo nuove denunce di qualche tedesco od olandese).
Se osserviamo il tutto dal punto di vista strettamente giuridico e formale, quanto deciso a Karlsruhe non fa una piega. Purtroppo il risultato di questa sentenza porta molte conseguenze (una l’abbiamo vista) e invita ad alcune considerazioni.
Innanzitutto la Corte tedesca cita due articoli della Costituzione della Repubblica Federale ed esattamente l’articolo 20 e l’articolo 79. L’articolo 20 prevede che le leggi tedesche siano sempre superiori a qualunque possibile decisione del governo. L’articolo 79 obbliga Berlino a considerare assolutamente prioritario l’obbedire alla Costituzione della Repubblica rispetto a qualunque Trattato o accordo internazionale. Per meglio capire cosa ciò significhi è bene ricordare che nella Costituzione italiana l’articolo 117 prevede che il nostro Stato debba sottostare ai vincoli che derivano dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali sottoscritti e ratificati dal Parlamento. In altre parole mentre noi, partecipando all’Unione Europea, ci sottomettiamo alle decisioni che ne derivano, la Germania considera ogni impegno europeo sempre subordinato alle proprie leggi interne. Ancora più chiaramente: ogni accordo firmato con Bruxelles potrà non essere rispettato se, in qualche modo, dovesse intaccare gli interessi immediati della Germania.
È evidente a questo punto che la stessa Unione Europea, checché se ne dica enfatizzando il termine “Unione”, non resta che un calderone di Stati che la riconoscono sovrannazionale soltanto e fino a quando ciò fa loro comodo. Così almeno per quanto riguarda l’interpretazione che la Corte Costituzionale tedesca dà della cosa.
Un secondo aspetto a conferma di quanto sopra è che la Corte tedesca smentendo, almeno in parte, la precedente sentenza della Corte di Giustizia Europea se ne considera oggettivamente superiore. Quanto alla BCE di cui si è sempre vantata l’“indipendenza”, scopriamo ora che dovrebbe rispondere del proprio operato ad un organo interno della Germania, cui dovrebbe fornire “spiegazioni”. Davanti a una sentenza di tal genere poco potrà fare perfino il più europeista dei politici tedeschi poiché se contraddicesse all’imposizione della Corte di Karlsruhe si metterebbe automaticamente fuori delle sue proprie leggi.
Così stando le cose, occorre prendere atto che se non cambia la Costituzione tedesca, non sarà mai possibile procedere verso quella maggiore integrazione da tanti auspicata e prevista addirittura dai padri fondatori.
Che fare? Le scelte sono due.
La prima: prendiamo atto che fino ad ora abbiamo scherzato e cioè che l’Europa non esiste e mai esisterà. La seconda (che il sottoscritto auspica da sempre): i politici del continente, quelli convinti che in un mondo di grandi potenze l’unico modo per garantire il nostro attuale benessere è quello di “unificarci “per davvero, prendono il coraggio di rimettere mano a tutti i Trattati e di trasformare la nostra fittizia “unione” in una vera Federazione. Tertium non datur.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.