di Giuseppe Lai –
E’ di stretta attualità la proposta di Emmanuel Macron di estendere all’intera Unione Europea la deterrenza nucleare francese, per offrire all’Europa una garanzia strategica dopo l’annuncio di Donald Trump di sospendere gli aiuti militari all’Ucraina. La mossa di Parigi non è proprio una novità. Affonda le sue radici nella dottrina della deterrenza che la Francia ha costruito durante la Guerra Fredda e che si rivela “storicamente coerente” con la posizione assunta dal presidente francese.
Se si guarda al secolo scorso, l’evento che ha favorito l’esordio della nuclearizzazione in Francia è l’occupazione di Parigi del giugno 1940 da parte delle truppe naziste. Il possesso di un arsenale nucleare rappresentava il mezzo dissuasivo più efficace e, nell’eventualità di un attacco sovietico, la soluzione più radicale per la difesa del Paese. Aveva inoltre un significato di emancipazione dall’alleato americano rivelatosi inaffidabile in più occasioni, come nella crisi di Suez del 1956. Infrastruttura strategica per il commercio globale, il canale di Suez apparteneva ad una società anglo-francese prima della nazionalizzazione ad opera del presidente egiziano Nasser. L’invasione militare da parte di Francia, Regno Unito e Israele per riprendere il controllo dello stretto vide l’opposizione congiunta di Russia e Stati Uniti, che costrinsero al ritiro gli invasori.
L’affermazione del principio di difesa strategica della Francia subì un’evoluzione con il Trattato dell’Eliseo del 1963, che pose le basi per una cooperazione franco-tedesca che aveva due obbiettivi fondamentali:
1) affermare il ruolo francese in Europa in chiave antisovietica attraverso il possesso dell’arma nucleare e gestire tutti i possibili scenari di crisi fino all’opzione estrema di un attacco massiccio del Patto di Varsavia;
2) creare un fronte alleato contro la minaccia di dominio politico, militare e tecnologico di Stati Uniti e Gran Bretagna.
Il presupposto alla base di tutte le ipotesi di conflitto era il verificarsi di una crisi breve, intensa e vicina, fondata in primis sulla preparazione di entrambe le parti coinvolte e sull’entità delle loro risorse militari nucleari e convenzionali. In tali condizioni un’aggressione a sorpresa del Patto di Varsavia poteva essere contrastata con una forza militare dispiegata in Germania che fungesse da baluardo con finalità dissuasiva, per testare le reali intenzioni dell’avversario. Una simile deterrenza, allargata ai territori vicini e alleati, dal punto di vista francese avrebbe difeso i cosiddetti “interessi vitali della Francia” oltre confine ed era valutata positivamente dalla stessa Nato poiché rendeva più complesso il calcolo strategico del nemico sovietico nel contesto europeo.
La posizione francese ha storicamente coesistito con le opzioni di difesa militare offerte all’Europa dall’Alleanza Atlantica, cui aderiscono attualmente 22 paesi dell’Unione Europea e dove è preponderante il ruolo strategico degli Stati Uniti. Con le dichiarazioni del presidente Trump di un possibile ritiro statunitense dalla Nato, gli attuali membri dell’Alleanza devono tuttavia affrontare nuovi scenari.
L’evoluzione del quadro geopolitico apertosi con il conflitto in Ucraina impone infatti un adeguamento del modello di deterrenza in grado di contrastare l’approccio aggressivo ed espansionista della Russia di Putin, in un ordine internazionale non più binario ma più articolato e complesso rispetto a quello della Guerra Fredda. Il modello dissuasivo francese, nel formato attuale, non sarebbe in grado di porsi come protettore dell’integrità dello spazio europeo, in un contesto che combina un ipotetico conflitto di lungo periodo, una lenta escalation e dubbi sul coinvolgimento americano, tutte ipotesi che non si possono escludere. Lo stesso disimpegno americano è supportato da variabili note da tempo, in primis la competizione sistemica con la Cina, oltre che le dinamiche dello scacchiere mediorientale e altri impegni su scala internazionale. Un altro fattore da considerare è che dopo la caduta del Muro di Berlino nessuna potenza ostile minacciava realmente la Francia e la probabilità di un attacco con armi di distruzione di massa era ridotta ai minimi termini.
Questo clima distensivo, favorevole al disarmo e al controllo degli armamenti, ha contribuito a ridurre le dimensioni dell’arsenale nucleare francese a un livello sufficiente a garantire unicamente la sicurezza dei propri confini. Le sue attuali 290 testate nucleari difficilmente potrebbero fronteggiare le 5.500 testate russe senza l’appoggio americano. A ciò si aggiunge che l’ombrello nucleare proposto non prevede la “condivisione della deterrenza” con i Paesi alleati, una condizione che implicherebbe per la Francia la compromissione di sovranità e autonomia, due capisaldi della sua dottrina. Quello che più realisticamente potrebbe concretizzarsi è una partecipazione dei paesi europei alle esercitazioni nucleari transalpine, con le responsabilità decisionali saldamente in mani francesi. Ma è una delle ipotesi sul campo e per concretizzarsi deve innanzitutto essere credibile agli occhi degli alleati europei.