Ucraina. La fine della guerra: dal decalogo al dodecalogo

Dopo la proposta di Zelensky è arrivata quella cinese: ma da Mosca sempre niet.

di Gianluca Vivacqua

Alla fine di dicembre 2022 il piano di uscita dalla guerra russo-ucraina che Zelensky aveva formulato fu inappellabilmente respinto dal ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. “Richieste irricevibili”, sentenziò il fidato braccio destro di Vladimir Putin. Eppure Volodymyr Zelensky era riuscito a dosare in modo apprezzabile le tentazioni da falco con la buona volontà di rappresentare i concittadini favorevoli al dialogo. Il 24 febbraio un piano di pace dall’impostazione generale molto simile, proveniente direttamente da Pechino, è stato giudicato “interessante” da Mosca, ma, in una parola, poco tempestivo. “Non ci sono le condizioni necessarie per una soluzione pacifica”, quella che la bozza cinese persegue in 12 punti, due in più di quanti ne contava la proposta di Kiev. Gli scogli contro i quali il gradimento russo si è infranto nel testo zelenskiano si sono riproposti anche in quello presentato da Wang Yi? Non c’è dubbio che alcuni dei nodi principali sono quasi uguali: in molti casi la differenza sta, per così dire, nella posizione che occupano in graduatoria.
La vera diversità sta nel fatto che Zelensky non vuole sentir parlare di pace un minuto prima che i russi abbiano deposto le armi (punto 10: la pace sarà proclamata dopo che la normalità sarà tornata in Ucraina), mentre Xi Jinping quantomeno prova a delineare un iter per arrivare a far tacere le armi (punto 3: armistizio; punto 4: avvio dei colloqui), facendo appello al senso di responsabilità di ambo le parti.
La sicurezza nucleare era al primo posto nel piano di Zelensky, al settimo in quello cinese. Com’è ovvio, il primo pensiero del presidente ucraino è rivolto alla delicata situazione del distretto di Zaporizhzhia, che praticamente dall’inizio della guerra è in mano ai russi. Sia lui sia Pechino chiamano in causa l’Aiea: per Zelensky è necessario che l’impianto di Zaporizhzhia torni immediatamente sotto il controllo dell’Agenzia, la Cina parla più in generale del fondamentale ruolo he essa ha nel tutelare la sicurezza degli impianti nucleari. I negoziatori cinesi parlano di nucleare anche al punto 8, dedicato alla riduzione dei rischi strategici dovuti all’impiego di armi non convenzionali.
Al primo posto nella bozza di Pechino compare invece il rispetto dell’integrità territoriale di tutti i Paesi, cioè proprio il punto che ci si sarebbe aspettati di trovare in cima alla lista di Zelensky, dove invece occupa la posizione n. 5. Anche in questo caso gli estensori del piano cinese si mantengono però sul generale, parlando delle norme internazionali che non permettono in nessun caso la violazione della sovranità di stati liberi. C’è da dire poi che questo primo punto può anche essere visto come una sorta di introduzione a quello successivo, dove si parla della necessità di abbandonare la mentalità da guerra fredda, a est come a ovest. A essa bisognerebbe piuttosto contrapporre una volontà convergente nel contribuire, nello specifico, alla stabilità del continente eurasiatico. Zelensky, invece, e non potrebbe essere altrimenti, parla chiaramente del ripristino dell’integrità territoriale dell’Ucraina, al centro di un vero e proprio trittico delle condizioni: liberazione dei prigionieri di guerra, soldati catturati e civili deportati (punto 4), e ritiro delle truppe russe dai territori ucraini occupati (punto 6). Anche i cinesi si soffermano, nel sesto punto del loro piano, sulla questione dei prigionieri di guerra, intesa bilateralmente e come aspetto particolare di un più ampio problema umanitario (punto 5): e si dichiarano disposti a favorire la restituzione di quelli ucraini ai russi e di quelli russi agli ucraini. Per Mosca – è evidente – proprio la questione dell’unità territoriale ucraina rappresenta la maggiore criticità di ogni ipotesi di fine ostilità.
La sicurezza alimentare è un altro importante punto in comune tra le due proposte di pace. Zelensky ha buon gioco a rivendicare per l’Ucraina il ruolo di granaio dell’Occidente: così è in effetti, e il punto 2 serve in un certo senso a ribadirlo. Fondamentale è quindi – e su questo concordano anche i cinesi, punto 9 – far sì che l’accordo sul trasporto dei cereali nel mar Nero continui a funzionare: tanto più ora che l’Ucraina, piuttosto ambiziosamente, si prepara a conquistare anche i mercati africani col programma Grain from Ukraine.
I due piani tornano a ritrovarsi anche sul terreno della ricostruzione postbellica. Zekensky la chiama “sicurezza energetica” (punto 3) o “recupero immediato dell’ambiente” (punto 8), ma qualunque sarà il versante in cui ci si dovrà impegnare la Cina vorrà esserci (punto 12).
Sugli altri punti invece proposta kievita e proposta cinese sembrano scorrere su binari pressoché paralleli. Zelensky immagina già come regolare i conti con i russi a guerra finita (punto 7, istituzione di un tribunale speciale per i crimini di guerra), e soprattutto come rendere permanente la condizione di “assistita speciale” di cui l’Ucraina gode dall’inizio della guerra: la chiave è la firma da parte di tutti i Paesi Nato del Kyiv Security Compact, il piano che vincolerebbe gli alleati atlantici a rifornire di armi Kiev fino a che non avrà raggiunto l’autosufficienza militare (punto 9). Nulla di tutto questo nei restanti due punti del piano cinese: al 10 abbiamo piuttosto lo stop a ogni sanzione unilaterale non autorizzata dal Consiglio di Sicurezza Onu e all’11 la sicurezza delle filiere industriali e di approvvigionamento.
I due documenti hanno finito col sovrapporsi anche sul piano del calendario: sin dall’inizio, infatti, Zelensky vagheggiava di andare a Mosca il 24 febbraio e presentare il suo piano al nemico il giorno dell’anniversario dell’inizio della guerra. Ma poi è stata la Cina a sfruttare quella data-simbolo, per presentare la sua proposta.