La Germania celebra Gorbachev nell’anniversario della Riunificazione

Ma la Russia non lo perdona.

di Giordano Merlicco

In occasione del trentennale della riunificazione delle due Germanie, il presidente della Repubblica federale tedesca, Frank-Walter Steinmeier, ha elogiato l’ultimo leader dell’Urss, Mihail Gorbachev, ricordando che la sua condotta fu uno dei fattori essenziali che permisero il crollo del muro di Berlino. Il comune di Rosslau, nella Germania centrale, ha perfino eretto un monumento a grandezza naturale alla memoria di Gorbachev.
Rosslau si trova nella regione della Sassonia-Anhalt, che un tempo faceva parte della Repubblica Democratica Tedesca (Ddr). L’amministrazione comunale ha ricordato che con la Perestrojka Gorbachev diede un contributo fondamentale alla pacifica riunificazione delle due Germanie e merita dunque il plauso dei cittadini tedeschi.
Il 30mo anniversario è stato accompagnato anche da qualche polemica. Alcuni hanno sostenuto che più che una riunificazione si trattò piuttosto di un’annessione della Ddr alla Repubblica Federale, come mostrano le perduranti differenze tra le due aree del paese. Ma ciò che sembra più interessante sottolineare è che mentre presso l’opinione pubblica europea Gorbachev continua a godere di un’ottima reputazione, molto minori sono gli omaggi che gli vengono tributati in patria.
Intervenendo sull’argomento Aleksey Pushkov, membro della Camera alta del parlamento russo ed esperto di politica internazionale, ha salutato le celebrazioni del trentennale della riunificazione della Germania come “l’ennesima prova del fallimento della politica di Gorbachev sulla questione tedesca”. Dopo aver notato che il monumento ha scarsa somiglianza con il personaggio cui è dedicato, egli ha indicato che la Germania ha in effetti più motivi di gratitudine nei confronti del dirigente sovietico, che non il suo stesso paese.
Nella seconda metà degli anni ’80 Pushkov ebbe modo di osservare da vicino il modus operandi di Gorbachev, lavorando per il dipartimento Affari esteri del Partito comunista sovietico. Da allora ha dedicato vari volumi all’analisi delle questioni di politica estera, affrontando in particolare il periodo che va dalla caduta dell’Urss alla rinascita della potenza russa, sotto la guida di Vladimir Putin.
La legge fondamentale della realpolitik per Pushkov è evitare ogni “concessione preventiva”, che invece di indurre la controparte a contraccambiare la incoraggiano ad innalzare il livello delle sue richieste. La riunificazione delle due Germanie – continua il senatore – non era uno scenario di per sé negativo per Mosca. Ma essa sarebbe dovuta avvenire in modo graduale, concordato, mentre nel modo in cui avvenne segnò l’iniziò dell’espansione verso est dell’Alleanza Atlantica, che è proseguita in varie tappe e non si è ancora fermata: “Gorbachev avrebbe avuto tutte le ragioni per porre delle condizioni. Avrebbe potuto chiedere che la Germania riunificata non appartenesse alla Nato, che avesse lo status di paese neutrale. Ma non lo fece, perché aveva già intrapreso la strada della capitolazione geopolitica”.
L’allora gruppo dirigente sovietico, riunito attorno a Gorbachev e al ministro degli Esteri Shevardnadze, pensava che l’era del confronto fosse finita e quindi di rinunciare alla competizione, ma gli Usa approfittarono dell’occasione propizia per rinforzare le proprie posizioni a danno di Mosca. In tal modo l’arrendevolezza dell’ultimo presidente sovietico, poi proseguita durante l’era Eltsin, ebbe conseguenze catastrofiche per la Russia, conclude Pushkov. Anzi, come mostrano da ultimo le notizie provenienti dal Caucaso e il conflitto del Nagorno Karabah, non solo per la Russia: “l’Urss era una zona di stabilità. Ora quelle che erano le sue regioni meridionali sono invece coinvolte in un gigantesco arco di instabilità, che parte dalla Libia, attraversa Palestina, Siria, Iraq e Afghanistan, per giungere fino al Caucaso”.
Le parole di Pushkov ben rappresentano gli umori dei cittadini russi su Gorbachev. L’ultimo segretario del Partito comunista sovietico in Russia è considerato, nel migliore dei casi, un dirigente imprudente, che iniziò un vasto programma di riforme senza però aver in mente la meta cui tendere. Egli finì per affidarsi ai consigli e alle indicazioni delle sue controparti occidentali, che ebbero gioco facile a persuaderlo a compiere scelte che equivalevano all’abdicazione dalle posizioni acquisite da Mosca sull’arena mondiale. In tal senso egli è stato talvolta paragonato, in senso negativo, al cinese Deng Xiaoping, che pressappoco negli stessi anni della Perestrojka condusse un altrettanto ambizioso programma di ammodernamento del paese, avendo però ben chiari le fasi da seguire e gli obiettivi da raggiungere. Mentre la Perestrojka condusse in breve tempo l’Unione Sovietica al collasso, le riforme di Deng permisero alla Cina di divenire una potenza mondiale.