La gestione delle informazioni nel processo “Ooda Loop”

di Giovanni Caprara –

Le informazioni sono un fattore decisivo per stabilire la strategia e la conduzione della battaglia. Il comandante che ne dispone meno del necessario, od anche molte più di quante ne abbisogni, può agire seguendo il modello teorico della “rational inattention”, o meglio come sia razionale non prendere in considerazione tutte le informazioni disponibili. Questo concetto si divide a sua volta in due possibili azioni: il primo è migliorare la capacità di trattare i dati disponibili non esaminandoli tutti ma vagliando solo quelli certi, il secondo è doversi organizzare in modo da poter sopperire alle carenze informative. Per ottenere risultati significativi dalle informazioni in suo possesso, la prima opzione obbliga il comandante a potenziare i canali di comunicazione interni ed aumentare numericamente gli organi direttivi del suo “Stato Maggiore”. La seconda possibilità prevede la necessità di assegnare azioni elementari alle gerarchie di livello più basso, che abbiano, però, la capacità di concretizzarle in modo indipendente. Uno Stato Maggiore più ampio e meglio organizzato sarà idoneo a gestire la complessità sistemica, la suddivisione del comando è invece maggiormente adatta a gestire l’incertezza ed il cambiamento. Il decentramento decisionale non garantisce un regolare flusso di informazioni, ma lo rende più immediato ed il meno strutturato possibile, fino ad agevolare le soluzioni “a rete” proprie del concetto di “Network Centric Warfare”. Tutto questo è l’essenza di un tipo di comando “orientato alla missione”, dove, identificati gli obiettivi e valutata la situazione sui dati raccolti direttamente sul terreno, i comandanti di quel livello sono liberi di scegliere la soluzione idonea per raggiungerli. Un processo che riduce sia la necessità di trattare l’informazione ai livelli superiori, quanto il numero e la saturazione dei canali di comunicazione, migliorando la rapidità di reazione ed il mantenimento del valore dell’incertezza al livello più basso possibile.
Un esempio nel passato è nella battaglia di Utica: Scipione l’Africano comprese che distruggerla era indispensabile per continuare la sua campagna contro Cartagine, ma aveva bisogno di tempo e di preparazione per mettere a punto quello che Polibio definì “l’opera sua più grande e meravigliosa”, e, pertanto, allentò l’assedio della città. Tentò un accordo con il nemico, ma le prime delegazioni romane incaricate dei colloqui di pace notarono la scarsa cura con cui erano disposti i campi nemici; un caotico intrico di capanne di legno e foglie senza terriccio che, per la maggior parte, sorgevano oltre il fosso di recinzione del campo stesso. Questo dettaglio suscitò l’interesse di Scipione, il quale diede un impulso maggiore ai colloqui di pace, ma con un secondo fine: le delegazioni romane dovevano diventare abituali per i numidi ed i cartaginesi allo scopo di far allentare loro le misure di sorveglianza. Alle prime avvisaglie della primavera, Scipione era pronto a far scattare una trappola che avrebbe rappresentato la disfatta per le poderose armate che aveva di fronte. In piena notte divise i soldati romani decentrando la sua autorità verso le gerarchie inferiori: il primo, guidato da Lelio e Massinissa avrebbe circondato il campo di Siface, mentre il secondo, comandato da lui stesso, si sarebbe occupato del campo di Asdrubale. Quando il dislocamento delle truppe fu completato, alcuni legionari elusero l’inconsistente sorveglianza delle sentinelle nemiche, indotti dalla tattica di Scipione, ed incendiarono le capanne esterne del campo numida. In breve il fuoco si propagò fra le capanne, provocando il caos fra i numidi che cercarono scampo dalle fiamme fuggendo verso l’esterno del campo, dove però li attendevano i romani. Così, quelli che riuscirono a fuggire dal fuoco morirono uccisi dai legionari. Nel frattempo i cartaginesi videro le fiamme che si levavano dal campo numida, ed accorsero in aiuto degli alleati supponendo si trattasse di un incidente, ma caddero così nella trappola di Scipione. Le cifre degli storici riportano 40.000 morti e 5.000 prigionieri, mentre da parte romana le perdite furono irrilevanti. Scipione prese la sua decisione con la propensione al rischio e con poche informazioni, perché non era certo che i cartaginesi sarebbero accorsi in aiuto degli alleati e non ne conosceva il numero, ma scelse di ignorare questo dato.
Nel 205 a.C. Scipione anticipò, in parte, una tattica che è propria dell’“OODA loop”, Observe-Orient-Decide-Act, un processo che appartiene al Manoeuverist Approach, una condotta delle operazioni mirata ad acquisire l’iniziativa ed a mantenerla, per togliere spazio di manovra al nemico e per precludergli qualsiasi opzione utile. È un approccio mentale che tende ad anticipare le mosse delle forze avversarie ed a batterle sul tempo. Questa tattica fu sviluppata da John Boyd, pilota militare statunitense, secondo il quale tale processo decisionale si estrinseca nel ciclo “Osserva->Orienta->Decidi->Agisci”. Il comandante capace di elaborare questo principio velocemente, ossia osservando e reagendo agli eventi che si stanno svolgendo più rapidamente di un avversario, può sconvolgere le fasi decisionali dell’avversario riuscendo così a mantenere l’iniziativa. Nei conflitti contemporanei, nuovi attori transnazionali con capacità offensive ragguardevoli, hanno costretto i decisori delle nazioni tecnologicamente avanzate a modificare le metodologie per garantire la sicurezza ed ha cambiato lo scenario del classico teatro di battaglia. I concetti di vittoria sufficiente, guerra asimmetrica, guerra non lineare e guerra cibernetica, possono essere tutti riassunti nella filosofia “vincere in un mondo complesso”. La sfida è come impiegare le forze e le capacità militari in ambienti complessi contro avversari con tecnologie ed armamenti migliorati. Vincere in un mondo complesso vuol dire operare sulle questioni strategiche, tattiche, operative e logistiche nello spazio-tempo: ossia quale sarà il livello di scontro, lo spazio bellico, la prontezza, i rifornimenti e quale sarà l’avversario. In questo contesto è fondamentale il ruolo del “comandante”. Il decisore deve elaborare comportamenti adatti ai nuovi scenari, ma con un approccio mentale orientato all’incertezza ed alla complessità del campo di battaglia. In ambito militare l’incertezza “strutturale” del sistema è l’aspetto primario che lo stratega deve analizzare, ossia, il rendimento delle organizzazioni, la saldezza interna, la coesione e l’efficienza. Ma, in un ambiente complesso e mutevole, l’azione di comando risulta più articolata perché deve fronteggiare realtà e regole diverse dalla guerra lineare, in quanto un singolo evento può ingenerare conseguenze non prevedibili e le informazioni possono essere incomplete e, spesso, contraddittorie. Le emozioni esaltano la parte meno razionale dell’essere umano e nella guerra queste si estrinsecano esponenzialmente a causa del livello di incertezza che tanto è maggiore quanto più alta è la probabilità che l’avversario sia in grado di modificare le condizioni dello scontro, perché il nemico farà di tutto per non confrontarsi nel campo a lui sfavorevole. Pertanto, il comandante deve essere in grado di evolvere la propria tattica per operare in un contesto diverso da quello pianificato, consapevole che l’avversario lo costringerà a combattere in un campo in cui sarà meno efficiente ed efficace. Vincere in un mondo complesso in cui la non linearità degli eventi può originare da ogni singola azione, costringe il decisore ad operare nell’apparente disordine di teatro. Le rapide dinamiche dell’“OODA loop” relegano il controllo, ossia che ogni azione deve essere logica e consequenziale, ad operazioni meno complesse. Il comandante, per non cedere allo stress deliberativo generato da una realtà mutevole, dovrà delocalizzare i nodi decisionali verso tutte le funzioni gerarchiche ad iniziare dalle più basse. E ciò avrà come effetto positivo anche la “common picture”, cioè una visione condivisa della situazione di teatro ed il “common goal”, che si traduce nella condivisione dell’obiettivo. In definitiva, il comandante deve saper gestire la successione degli accadimenti nell’azione, obliando l’apparente ordine e controllo di coerenza di ogni singolo evento e delegando al personale da lui dipendente.
Le decisioni, nel loro senso più ampio, sono il risultato di processi dove si accumulano evidenze: nella scelta fra due possibili soluzioni il cervello inizierà a confrontare le opzioni ed a vagliare i vantaggi e gli svantaggi in favore di una di queste; la scelta avviene quando l’evidenza è orientata maggiormente verso la soluzione che ha travalicato l’altra nella barriera decisionale. L’attenzione prestata alla risoluzione del problema è fondamentale in questo processo, in quanto dirige il confronto ed ha un rapporto biunivoco con la preferenza, ossia viene prestata più attenzione all’opzione preferita, ignorando, a volte, i dati in proprio possesso anche se contrastanti con la scelta predeterminata. Attraverso esami diagnostici è stata rilevata nell’uomo una dissociazione temporale tra il calcolo del valore atteso e quello del rischio. Gli studi di neuroscienza hanno evidenziato, infatti, come il cervello processi sempre prima il valore atteso di una scelta, e successivamente i fattori di rischio. Questo implica che tutte le decisioni prese frettolosamente mostrano una totale mancanza od una limitata considerazione della rischiosità nelle opzioni. Probabilmente, più importante è il contributo che le neuroscienze esercitano sul concetto di razionalità e le interazioni con le emozioni. L’economia classica è fondata sull’evidenza che nelle scelte si tende a massimizzare i propri interessi per ridurre al minimo le perdite, ma la neuroscienza ha, pertanto, mostrato che nel prendere decisioni il cervello tenga in considerazione, oltre alla ragione, anche le emozioni attraverso il “brain-imaging”, la tecnica di visualizzazione delle aree cerebrali. Di fatto le scelte non scaturiscono solo da considerazioni razionali e calcoli astratti, ma anche da affetti, paura, propensione al rischio e fiducia.

Bibliografia:
– Giorgio Coricelli, “Perché sono un economista con il prefisso «neuro»”. La Stampa, 08 novembre 2017
– Massimo Volta, “Il Capo Militare quale gestore della complessità e dell’incertezza”.- Forze Armate.