La guerra in Ucraina complica la transizione ecologica europea

di Tiziano Sini * –

Le implicazioni della guerra in Ucraina, come è noto, sono state molteplici. Ma una su tutte sta assumendo una rilevanza crescente nel contesto europeo: la questione energetica. In questo frangente la scelta russa di fare leva sulle forniture di gas come strumento di pressione economico ha innescato profondi ripensamenti in molti leader europei, sia di fronte alle scelte sbagliate legate ai contratti di approvvigionamento troppo poco diversificati, sia sul percorso strategico che l’UE ha intrapreso nell’ottica dell’attuazione di una transizione ecologica, a questo punto considerata da molti estremamente onerosa.
La sfida al raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 risultava già di per sé complessa e molto difficile da raggiungere. Ma il conflitto in Ucraina ha complicato ulteriormente lo scenario. Le implicazioni e le difficoltà accorse sono riscontrabili in diversi episodi recenti che hanno evidenziato una frammentazione interna alle istituzioni e numerosi problemi strutturali sono tornati a galla. Per queste ragioni gli ambiziosi propositi iniziali sembrano per certi aspetti più che negoziabili.
Negli scorsi giorni, infatti, un importantissimo scontro si è verificato fra gli scranni del Parlamento Europeo, dove era stata presentata una risoluzione di rigetto sul progetto di tassonomia, poi bocciata in sede di voto. Un tentativo disperato di fermare l’introduzione dell’iniziativa, che attualmente tollera come fonti sostenibili, anche se con un ruolo transitorio, gas e nucleare. Per molti un compromesso inaccettabile e poco credibile all’interno di una strategia ambiziosa volta a fornire strumenti per facilitare il programma di decarbonizzazione entro il 2050.
Non è, purtroppo, l’unico esempio. Un altro caso emblematico è fornito dalla discussione intorno ai negoziati per l’approvazione del programma «Fit for 55». Se anche in questo caso sembra essere stata trovata una stabile comunanza di intenti, in seno al Consiglio alcune modifiche dettate da compromessi in fase negoziale sono riscontrabili. Superati gli indugi iniziali, è stata trovata un’intesa in merito alla riforma del sistema di scambio di quote di emissioni (ETS), così come sulla condivisione di sforzi in quei settori attualmente non coperti dall’ETS (ESR), ed in materia di emissioni e di assorbimenti derivati dall’uso del suolo.
Ma due temi particolarmente critici, nonché onerosi, hanno creato i maggiori attriti: la creazione di un fondo sociale per il clima ed il pluridibattuto stop alle auto a motore endotermico nel 2035.
I primi malumori sono nati, infatti, intorno al «Fondo sociale per il clima» (Social Climate Fund), nato per fornire un aiuto tangibile al tessuto economico-sociale a seguito di una futura e più restrittiva riforma dell’ETS. Il Fondo, che nella proposta originale avrebbe dovuto ammontare a circa 72 miliardi di euro, ha subito una contrazione di circa 12 miliardi (arrivando perciò a 59), e verrà garantito attraverso il prossimo budget europeo 2027-32, in concomitanza appunto con l’applicazione del secondo ETS. A questa novità si aggiunge un ulteriore modifica: viene meno, infatti, l’obbligo di co-finanziamento, del 50% a livello nazionale degli interventi (che avrebbe garantito la mobilitazione di 144 miliardi circa).
Un ulteriore presidio riguarda la richiesta di preparazione di particolare «Piani sociali per il clima» a livello nazionale, a cui si somma una speciale clausola che impone un tetto del 35% per gli interventi di supporto al reddito. La negoziazione del Fondo ha fatto emergere diverse tensioni sullo stop di auto diesel e benzina, durante il quale alcuni Paesi, fra cui Italia e Germania, hanno tentato di avanzare la proposta di un rinvio di cinque anni, rispetto alle scadenze proposte dalla Commissione.
In riferimento a questo, nel 2026, la Commissione Europea dovrà impegnarsi a programmare una valutazione dei progressi compiuti, attestandosi la possibilità di rivedere gli obiettivi, tenendo in considerazione anche le potenziali novità tecnologiche. A ciò si aggiunge il cosiddetto «emendamento salva-Ferrari», che consente ad alcune case automobilistiche di posticipare la scadenza dettata per il 2035. Si tratta di case automobilistiche di lusso, il cui numero di auto prodotte è estremamente limitato, ma con un impatto economico non indifferente nel segmento industriale italiano.
Al di là della narrazione che viene portata avanti, la transizione ecologica rappresenta una sfida da affrontare con precisione e pragmatismo, per evitare ulteriori fratture sia fra i Paesi membri sia fra le Istituzioni europee. Tutto ciò in un momento in cui, anche a causa della guerra in Ucraina e delle conseguenze asimmetriche sul mercato dell’energia, è richiesta una comunità di intenti e vedute non facilmente ottenibile.

* Mondo Internazionale Post.

Articolo in mediapartnership con il Giornale Diplomatico.