La Lega della Neutralità proposta dall’ambasciatore Romano: bella ma impossibile

di Roberta Lucchini *

Finlandia e Svezia bussano con crescente vigore alle porte della NATO e intorno al leader turco Erdogan aumenta il fermento diplomatico per convincerlo a ritirare la propria opposizione all’ingresso dei due Paesi nordici nell’Alleanza. Infatti l’accettazione della candidatura di un nuovo Stato, che si concretizza nel formale invito da parte dell’Organizzazione, può avvenire solo all’unanimità dei membri, come qualsiasi altra decisione nell’ambito dell’Alleanza. E al momento l’unico ostacolo al raggiungimento dell’obiettivo è rappresentato proprio dalla Turchia, mentre non sortiscono alcun effetto corrosivo sulla determinazione dei due richiedenti di entrare nell’alleanza difensiva le minacce di Vladimir Putin e dei suoi accoliti, che annunciano il rafforzamento della militarizzazione del Nord-Ovest russo, in particolare della Carelia.
Nonostante ciò, sono state avanzate proposte sul modo migliore di gestire il confine con la Russia, una delle quali a firma di Sergio Romano, già ambasciatore italiano in URSS. Egli propone una “Lega della Neutralità,” composta anzitutto dai Paesi scandinavi e baltici, “che avevano già scelto di essere neutrali”, e da quelli, come l’Ucraina, che devono la loro indipendenza al “suicidio dell’URSS”. Secondo Romano “questa Lega garantirebbe la pace del continente molto più di un qualsiasi Trattato” in quanto consentirebbe non solo di abolire le sanzioni, che stanno stritolando le economie, ma di costituire una novella Comunità economica dalla grande forza pacificatrice come fu la CEE di Schuman.
L’idea appare alquanto azzardata. Come si potrebbero mai convincere Paesi indipendenti, democratici, nel pieno controllo del proprio territorio, alcuni dei quali (i baltici) liberamente entrati in organizzazioni internazionali come la NATO e sovranazionali come la UE (in questo caso anche Svezia e Finlandia) a fare un passo indietro, scegliendo (o mantenendo) la neutralità? I termini della proposta, invero, farebbero pensare, piuttosto che a una autonoma determinazione dei detti Stati, i quali hanno all’evidenza tutt’altro orientamento, ad una neutralizzazione imposta per opportunità dai Paesi dell’Unione Europea, la quale agirebbe da mentore e guida del cordone di sicurezza, rappresentato appunto dalla descritta Lega, che tanto sarebbe gradito all’aggressore Putin. Il quale, non va dimenticato, può sempre contare, nel bel mezzo del territorio dell’Unione Europea e della NATO, sul piccolo ma fondamentalmente exclave strategico rappresentato dall’oblast’ (unità amministrativa russa) di Kaliningrad, situato fra Polonia e Lituania, collegato alla madrepatria da un corridoio di circa 100 km fino alla Bielorussia – fedele alleata della Federazione Russa – e imbottito di armamenti dall’indiscusso potenziale distruttivo (compreso il temibile sistema balistico Iskander).
Una soluzione come quella prospettata dall’amb. Romano sarebbe stata forse percorribile all’indomani del disfacimento dell’Unione Sovietica, se solo si fosse avuta la lungimiranza, quando non addirittura la chiaroveggenza, di prefigurare il rischio di una fenice nazionalista che rinasce dalle proprie ceneri, incarnata nelle ambizioni annessionistiche di Putin e nutrita dall’atavica esigenza di tutelare lo spazio vitale della Grande Madre Russia. A quel punto, si sarebbe potuta creare un’intercapedine formata da Paesi neutralizzati, in luogo della cortina di ferro, per quanto spostata verso Est. Al tempo, tuttavia, l’entusiasmo nei confronti di un processo che era considerato un nuovo inizio, capace di dissolvere l’incubo sul suolo europeo, non fu intaccato nemmeno dall’atteggiamento cauto e prudente di leader come Giulio Andreotti e Michail Gorbačëv che, invece, avvertivano il pericolo di una frammentazione incontrollata del condominio sovietico.
Tuttavia, poiché la storia si analizza, si scrive e si legge, ma non può essere corretta, conviene concentrarsi sul presente e su ciò che verrà. Al momento appare molto più saggio, invece che frustrare le lecite aspirazioni di Paesi in cerca di sicurezza, per di più rimettendo in discussione status acquisiti, percorrere tutti i canali diplomatici necessari a favorire l’invito nella NATO dei due aspiranti. Dopodiché non sarebbe inutile adottare, da parte dell’Organizzazione medesima, una dichiarazione comune in cui se ne ribadisca lo scopo, che non prevede, ai sensi del trattato istitutivo, attacchi preventivi alla sicurezza e al territorio di Stati terzi, ma rappresenta un’alleanza di natura difensiva e di resistenza ad aggressioni armate.
Ciò non a semplice “uso interno”, ma per ricordare ai Russi e al mondo intero che l’Occidente, pur con errori e inciampi, ha scelto una strada diversa, nella quale le logiche anacronistiche delle invasioni a scopo rivendicativo non sono più tollerate ed in cui la Carta delle Nazioni Unite deve rappresentare il solo decalogo cui fare riferimento per la gestione delle relazioni internazionali.

Coordinatrice Dipartimento Studi e Formazione – Istituto Diplomatico Internazionale.

Articolo in mediapartnership con il Giornale Diplomatico.