La nuova frattura mediorientale: Israele e Iran sull’orlo della guerra aperta

Mentre il mondo osserva impotente.

di Riccardo Renzi

L’escalation tra Israele e Iran ha raggiunto un livello mai visto in precedenza, trasformando quello che per decenni è stato un conflitto ibrido – fatto di sabotaggi, guerre per procura e attacchi mirati – in uno scontro militare quasi diretto. A rendere la situazione ancora più esplosiva è l’intreccio tra la dimensione nucleare, gli equilibri geopolitici internazionali e le nuove rotte economiche che stanno riscrivendo gli assetti dell’Eurasia. La recente dichiarazione del Ministero degli Esteri russo, durissima contro Israele, certifica il superamento di una soglia pericolosa: quella tra dissuasione e confronto aperto.
La Russia ha condannato con fermezza gli attacchi israeliani sul territorio iraniano, in particolare quelli contro le infrastrutture nucleari, definendoli “illegali secondo il diritto internazionale” e “un rischio reale di catastrofe nucleare globale”. La diplomazia di Mosca sottolinea come l’azione israeliana sia stata resa possibile da un via libera implicito ottenuto attraverso una risoluzione dell’AIEA – spinta, a detta del Cremlino, da pressioni occidentali – che ha messo sotto accusa il programma nucleare iraniano sulla base di una “valutazione viziata”.
Questo atto ha scoperchiato un vaso di Pandora geopolitico. La risoluzione del 12 giugno al Consiglio dei Governatori dell’AIEA, contestata da Russia e da parte del Sud globale, ha di fatto legittimato l’azione militare israeliana. Mosca accusa l’Occidente di manipolare le istituzioni multilaterali per risolvere conti politici e strategici: una dinamica sempre più evidente nel mondo multipolare che avanza.
Israele, dal canto suo, non ha mai celato la propria strategia: disarticolare l’intera rete di sicurezza iraniana nella regione. Una rete costruita in decenni attraverso milizie satelliti (Hezbollah in Libano, le PMU in Iraq, gli Houthi in Yemen, le milizie sciite in Siria) e strumenti di pressione asimmetrica. Ma questa guerra indiretta ha ora preso una piega radicale. L’eliminazione di figure centrali come Hossein Salami e Mohammad Bagheri – rispettivamente comandante dei Guardiani della Rivoluzione e capo di stato maggiore iraniano – dimostra che Israele punta alla decapitazione politica e militare della Repubblica Islamica.
La domanda, oggi, non è più se vi sarà una risposta iraniana, ma quando e in che forma. Il contrattacco è già iniziato sotto forma di attacchi missilistici e ondate di droni. L’obiettivo, secondo fonti americane, non è tanto la distruzione, quanto l’esaurimento: Israele starebbe per finire le sue scorte di intercettori Iron Dome, con una riserva stimata di soli 10-12 giorni.
In questo quadro si inserisce un concetto chiave: non è solo un attacco militare, è una strategia di logoramento. Teheran sembra intenzionata a tenere alta la pressione fino al collasso del sistema difensivo israeliano, per poi trattare da una posizione di forza.
Mentre missili e droni si alzano nei cieli mediorientali, è sulla terra che si gioca una delle partite più silenziose ma decisive. Il 25 maggio 2025 è arrivato in Iran il primo treno merci proveniente da Xi’an, segnando l’inizio operativo di una nuova rotta commerciale terrestre tra Cina e Iran. Un progetto da 400 miliardi di dollari, sviluppato dal 2021, che rende Teheran un hub chiave nel nuovo corridoio euroasiatico, bypassando le rotte marittime controllate dagli Stati Uniti nello Stretto di Hormuz e a Suez.
Non è un caso, dunque, che i primi missili israeliani siano piovuti sull’Iran proprio mentre si inaugurava questa nuova infrastruttura. Il messaggio è chiaro: Israele, e forse gli Stati Uniti, vogliono impedire che l’Iran diventi il cuore pulsante di una nuova architettura commerciale e geopolitica asiatica. Il progetto iraniano mira a connettere Est e Ovest, Russia e India, Cina e Mediterraneo. Un Iran stabile e con infrastrutture moderne è un Iran strategicamente potente: una prospettiva inaccettabile per Tel Aviv.
Washington ha mantenuto una posizione ufficiale di distanza dai raid israeliani, ma secondo molte fonti diplomatiche, gli Stati Uniti erano informati – se non direttamente coinvolti – nella pianificazione dell’operazione. L’ambiguità strategica americana non è nuova, ma in questo contesto assume tratti particolarmente pericolosi. Se gli USA hanno aiutato Israele a celare i preparativi dell’attacco, si sono assunti un rischio enorme: la rottura definitiva dei colloqui nucleari con Teheran, interrotti subito dopo i raid.
Il rischio più grande per gli Stati Uniti e per il mondo è che, in assenza di un accordo sul nucleare, l’Iran decida di rompere ogni freno residuo e sviluppare una vera e propria dottrina nucleare militare. In tal caso, lo scenario si avvicinerebbe pericolosamente a quello di una guerra totale.
Due scenari si contendono il futuro dell’Iran:
Spaccatura interna del regime – La clamorosa vulnerabilità dell’apparato di sicurezza iraniano, smantellato da attacchi israeliani, potrebbe alimentare un malcontento crescente tra la popolazione e persino nelle forze armate convenzionali. Alcuni settori potrebbero iniziare a mettere in discussione il monopolio dei pasdaran e le scelte strategiche del regime. È uno scenario di lenta erosione del potere, che potrebbe portare a una trasformazione interna, se non a un collasso.
Radicalizzazione nucleare – In risposta agli attacchi e al senso di accerchiamento, il regime iraniano potrebbe accelerare lo sviluppo di un deterrente nucleare. Non si tratterebbe più solo di arricchimento dell’uranio, ma della formalizzazione di una dottrina nucleare difensiva (o offensiva). Un tale passo romperebbe gli equilibri regionali e globali, forzando persino i Paesi arabi del Golfo a dotarsi a loro volta di armi nucleari, aprendo un’era di proliferazione incontrollata.
La crisi tra Iran e Israele non è solo un confronto regionale: è un riflesso delle grandi fratture geopolitiche globali. Dietro Teheran si muove il blocco sino-russo, con Mosca che invoca il rispetto del diritto internazionale e Pechino che difende le nuove rotte eurasiatiche. Dietro Israele si muove, in maniera sempre più incerta, il blocco occidentale, spaccato tra un’America esitante e un’Europa afona. Senza un immediato cessate il fuoco e un nuovo impegno negoziale multilaterale sul nucleare iraniano, il Medio Oriente rischia di diventare l’epicentro di un terremoto geopolitico globale. E questa volta, nessuno potrà dire di non averlo visto arrivare.