La politica estera di Giorgia Meloni

di Dario Rivolta * –

Ho avuto Giorgia Meloni come collega parlamentare e posso dire che fu sempre diligente nell’incarico assegnatole dagli elettori e sempre partecipe ai lavori. Quando, tuttavia, le capitò di intervenire su temi di politica internazionale notai una certa impreparazione nella sua conoscenza dei fatti e una improvvida superficialità nel calcolare le conseguenze internazionali delle posizioni politiche che difendeva. Ora, da Presidente del Consiglio, non posso che apprezzarla, almeno per quanto riguarda le sue decisioni in politica interna. E’ sicuramente autorevole, ricopre benissimo il ruolo e mi lascia sperare che farà tutto ciò che le sarà possibile per il bene del Paese. Sembra anche che, aiutata dalla vuoto intellettuale e dallo sfascio organizzativo del PD, il consenso popolare verso di lei stia giustamente crescendo.
Purtroppo, per quanto riguarda la politica estera non posso che essere in disaccordo con le posizioni che va assumendo. Non alludo al suo sdilinquirsi verso la “marionetta impazzita” Zelensky , atteggiamento comunque ai limiti dell’umiliazione per lei e per il Paese. Alludo, invece, proprio alla collocazione internazionale che sta assegnando al nostro Paese con la complicità del silenzio (comprensibile) delle altre forze di maggioranza e della voce afona, o secondaria, delle opposizioni.
Ritengo che faccia benissimo a partecipare a tutti gli incontri internazionali, e ciò non solo perché deve accreditare sè stessa e il suo Governo, ma anche per manifestare, finalmente, la presenza fisica e attiva dell’Italia su scenari mondiali da cui per troppo tempo siamo stati assenti o del tutto ininfluenti.
Sicuramente è aiutata da consiglieri messile a disposizione dal nostro Ministero degli Esteri e, forse, anche di altri, ma ciò non toglie che, a mio giudizio, sia lei che il nostro Ministero degli esteri siano su una strada strategica sbagliata.
Nel passato, lei e il suo partito fu tra coloro considerati tra gli euro-scettici ma oggi è chiaro a tutti e anche a loro che l’idea dell’uscita dalla UE o dall’Euro è del tutto improponibile e sarebbe solo un suicidio economico. E’ comprensibile che in molti esista la paura di un’Europa preda dell’asse franco-tedesco che emarginerebbe l’Italia: è la stessa preoccupazione che aveva Berlusconi che, infatti, cercò altri spazi di azione stringendo rapporti più stretti con la Gran Bretagna di Blair (riuscendoci), con la Spagna di Aznar (non riuscendoci) e coltivando relazioni personali con Putin e Bush. Da quegli anni, però molto è cambiato: la Gran Bretagna non c’è più, Macron in Francia è senza una maggioranza stabile e Scholz in Germania capeggia una coalizione perfino più contradditoria di quanto si sia mai visto in Italia. E’ vero che da Parigi arrivano un giorno sì e uno no attacchi al nostro governo ma, come giustamente notato dalla stessa Meloni e da tutti gli analisti, le affermazioni pesanti contro di noi sono sintomi di un forte malessere nella loro politica interna e quindi segno di una grande debolezza. L’asse franco-tedesco ha frequenti alti e bassi e nonostante i due Ministeri degli esteri cerchino di collaborare, sono più gli interessi divergenti tra i due di quelli convergenti. Il famoso patto di Aquisgrana non riesce ad essere efficace come i vertici sembra volerlo e, nei fatti, funziona solo un poco di più dell’Accordo del Quirinale: molto fumo e poca sostanza.
Davanti a questa situazione cosa fa la Meloni? Vorrebbe emanciparsi da Parigi e Berlino cercando di stringere accordi di forte collaborazione con la Polonia e mostrandosi agli americani quale il più fidato alleato di tutto il continente. In altre parole, invece di usare la diplomazia per esperire quali strade potrebbero farci avvicinare ad una Unione più integrata, coltiva un nuovo nazionalismo cercando sponde nei Paesi più anti-europei e antagonisti di un’idea di un’Europa con un’unica politica estera e di difesa.
La Polonia, così come gli altri Stati dell’Europa dell’est hanno riacquistato da poco una loro indipendenza e ciò che domandano a Bruxelles, oltre ai generosi finanziamenti, è la garanzia di non ricadere sotto l’egemonia russa. Il loro atteggiamento può essere storicamente comprensibile ma le esigenze dei Paesi fondatori sono diverse. L’Unione Europea è nata con la prospettiva di incamminarsi verso una sempre maggiore integrazione e, anche se questo cammino è stato più volte tradito, resta un concetto fondamentale perfino tra chi verso gli attuali vertici dell’Unione prova solo delusione e disprezzo.
Per quanto riguarda gli USA, è evidente che ad oggi e per un certo tempo non potremo farne a meno, ma ciò significa che le nostre decisioni sono tutt’altro che autonome e restano soggette, in primis, agli interessi americani. A questo proposito è assurdo farci illusioni: la storia ha già dimostrato che gli USA sono estremamente spregiudicati nel perseguire sempre e soltanto i loro interessi. Sanno camuffarsi bene agli occhi degli sprovveduti sventolando continuamente i grandi ideali di democrazia e di libertà ma è sotto gli occhi di chi guarda gli avvenimenti reali e non la propaganda che, quando a loro conviene, non esitano ad appoggiare stati totalmente illiberali e a far collassare con mezzi più o meno evidenti Paesi magari democratici ma non amici. La strategia degli americani è sempre stata coerente, qualunque sia stata la maggioranza, se Democratica o Repubblicana. Solo un superficiale come Trump si è permesso di ammettere davanti al mondo che gli interessi americani venivano prima di tutto e di qualunque ideale. E soltanto dei fanatici come i neo-conservatori sono arrivati a mettere per iscritto che ogni mezzo sarebbe stato buono pur di impedire a chiunque di mettere a rischio la supremazia americana nel mondo.
Il loro atteggiamento verso l’Europa ha sempre avuto due obiettivi: impedire che il nostro continente potesse emanciparsi dal loro controllo e, a questo scopo, anche rendere impraticabile la possibilità che le ricchezze naturali russe potessero sposarsi, in qualche modo, con i capitali e il know-how europeo. Se ciò fosse avvenuto, l’economia che ne conseguirebbe non solo diventerebbe un potenziale loro concorrente ma, una pace politica tra Bruxelles, Berlino, Roma, Parigi e Mosca potrebbe rendere non più necessarie le truppe americane disseminate sul nostro continente, formalmente per la nostra difesa.
Varsavia sta svolgendo oggi in Europa il compito che fu della Gran Bretagna e cioè di cane da guardia americano per impedire velleità europee verso una unione più stretta e una possibile autonomia decisionale. Che i loro alleati siano solo uno strumento utilizzato solo fino a che fa loro comodo e si resta obbedienti è dimostrato da ciò che è capitato all’”amico” Berlusconi. Il suo rapporto con Putin, a un certo punto, è stato giudicato “pericoloso” e, anche grazie alla sua superficialità nei rapporti privati, è scoppiato lo scandalo che lo ha azzoppato.
Credendo di coltivare un neo-nazionalismo, Giorgia Meloni (e con lei le nullità oggi a Bruxelles e nelle varie capitali europee) stanno piuttosto seguendo pedissequamente gli interessi di oltreoceano senza rendersi conto che stanno contribuendo ad azzoppare l’economia di tutto il continente (uno degli obiettivi americani). La frattura che si è creata con la Russia (e le sue riserve di materie prime), se mai sarà possibile rimediarvi, richiederà decenni per potersi ricostruire.
Ciò che rimprovero a Palazzo Chigi è di non considerare ciò che è ovvio a tutti gli osservatori e cioè che la salvaguardia del nostro attuale benessere ha una sola possibilità: una Europa certamente più piccola degli attuali 27 ma politicamente ed economicamente più integrata. L’unico leader in Europa che sembra averlo capito e predicato è Macron. Peccato che lo faccia solo a parole e, nei fatti, continui a coltivare il tradizionale sciovinismo francese. C’è, tuttavia, da capirlo poiché oggi, per i motivi sopra esposti, non avrebbe comunque interlocutori, né in Germania né altrove.
Se la nostra politica estera fosse più saggia, anziché obbedire pedissequamente ai diktat di Washington o cercare assurde vicinanze con i polacchi, si cercherebbe con Berlino, Parigi e Madrid di preparare tutte le condizioni per l’indispensabile cammino verso una Federazione degli Stati d’Europa.
Non è una strada semplice e nessuno si nasconde che anche dietro le belle parole di Macron c’è sempre il disegno gaullista di una Francia “guida” di tutto il continente. Tuttavia, il compito di una diplomazia saggia e capace è di cercare, anche in maniera discreta, dove stanno le debolezze altrui, provare ad insinuarvisi e intanto trovare partner disponibili a costruire, nei modi e nei tempi necessari, le premesse per una profonda revisione dei Trattati. Nel mondo globalizzato, con nuove potenze di grandi dimensioni e con uno scenario in cui il futuro bipolarismo si ripresenterà sotto le facce di USA e Cina, un’Europa spezzettata in tanti Stati sarebbe sempre e soltanto un “cliente minore”, oggetto di qualunque prepotenza e serva di interessi altrui.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.