La presenza internazionale italiana è più che soddisfacente

di Gian Luca Gardini * –

La valutazione del disimpegno internazionale di un Paese, soprattutto nel confronto con altre nazioni, dipende molto dagli ambiti e dagli indicatori considerati. Le statistiche sono interpretabili, ma se lette con cura, in generale non mentono. Gli indicatori internazionali dicono che l’Italia non è affatto così male come spesso viene dipinta e che anzi ci sono circa 180 Paesi nel mondo in cui statisticamente si vive peggio e la cui rilevanza internazionale è per molti aspetti minore. Non è poco per un Paese come il nostro che è 23° al mondo in termini di popolazione e solo 73° per superficie territoriale.
La presenza internazionale dell’Italia è soddisfacente praticamente in tutti i campi, economico, sociale, politico e anche militare, soprattutto in rapporto a Paesi comparabili per dimensioni e potenzialità.
Nonostante ciò, il Paese non viene percepito come particolarmente influente a livello internazionale. Tuttavia, se si considera il contesto internazionale oggettivamente difficile, l’Italia non va male ed è qualcosa di più di una media potenza. Ci sono inoltre ampi spazi per migliorare.
Secondo le maggiori organizzazioni internazionali, l’Italia è l’ottava economia del mondo in termini di PIL, ben davanti a potenze emergenti come il Brasile (12°) o fortemente assertive come la Russia (11°).
La collocazione italiana non è casuale, ma è in linea con il nostro peso storico. Nona economia del mondo nel 1960, l’Italia ha occupato stabilmente la settima posizione in ogni quinquennio tra il 1970 e il 1985 per salire al sesto posto nel periodo 1990-95 e poi scendere al settimo tra il 2000 e il 2005 e collocarsi all’ottavo posto dal 2010.
In termini di PIL pro capite, la posizione italiana (30°) è forse meno lusinghiera, ma assolutamente in linea con Paesi comparabili come il Giappone (28°), la Nuova Zelanda (32°) o la Spagna (34°). Inoltre le prime dieci posizioni di questa classifica sono occupate da paradisi bancari e fiscali o stati petroliferi, tra cui Lussemburgo, Singapore, Qatar, Brunei, e Macao.
Anche in altri campi l’Italia si difende piuttosto bene secondo gli indici internazionali. Politicamente, l’Italia è membro fondatore dell’Unione Europea, è membro del G-7 e gioca un ruolo importante in organizzazioni internazionali quali l’ONU (di cui è il settimo maggiore contribuente) o l’OMC (di cui è il decimo contribuente).
Sul piano sociale, l’Indice di Sviluppo Umano delle Nazioni Unite, elaborato combinando fattori quali l’attesa di vita alla nascita, gli anni di scolarizzazione, e l’ingresso nazionale pro capite, ci colloca al posto 30, in linea con la Spagna (27°) e la Francia (28°).
In termini di forza militare, l’indice GlobalFirePower, che viene elaborato sulla base di oltre 60 parametri, ci colloca al decimo posto globale.
Come si spiega allora la percezione piuttosto negativa e limitata che spesso accompagna il nostro Paese? Vi sono tre spiegazioni principali. La prima è il discorso negativo consolidato, la narrativa del declinismo, tanto nei mezzi di informazione quanto nei cittadini comuni e che spesso non tiene conto dei fatti. La seconda riguarda le effettive debilità strutturali italiane, dalla bassa crescita al debito pubblico esplosivo e le infrastrutture carenti, fino alla corruzione percepita, l’instabilità politica e la scarsa capacità gestionale. La terza spiegazione è la più importante. Molte analisi non tengono conto del contesto ed esaminano l’Italia quasi come se si trovasse in un vuoto da laboratorio invece che in un contesto storico, politico, economico e sociale.
Questo contesto è oggettivamente difficile. La crisi finanziaria del 2008, la pandemia e la guerra in Ucraina hanno debilitato tutto l’Occidente, non solo l’Italia. Inoltre, fattori come la crescita della Cina e delle altre potenze emergenti, la fase di transizione della globalizzazione, la crisi del multilateralismo di stampo occidentale e liberale, e la ridefinizione del ruolo degli Stati Uniti a livello internazionale hanno di fatto eroso le posizioni e gli spazi di manovra per i paesi europei, Italia compresa. In questo difficile quadro sistemico, il nostro Paese non si è difeso affatto male.
L’Italia si colloca ancora in posizione privilegiata a livello internazionale. L’indice ELCANO di presenza internazionale vede l’Italia al decimo posto, in declino rispetto agli anni Novanta, ma ancora davanti a potenze emergenti come India (11°) o Corea del Sud (12°) e Brasile (neppure nei primi venti).
L’indice ELCANO analizza tre settori. In campo economico l’Italia è il decimo Paese più presente internazionalmente, con eccellenti risultati in termini di beni industriali (7°), investimenti (13°) e servizi (14°). In ambito militare, siamo settimi con ottimi punteggi alla voce equipaggiamento e tecnologia.
Nella sfera del potere di attrazione, o soft power, l’Italia è nona, con eccellenti risultati nella scienza (6°), nello sport (6°), nel turismo (2°) e nella cultura (8°). L’indice ELCANO misura la proiezione internazionale effettiva di un Paese e non è basato sulla reputazione.
Per non perdere terreno e confermare le posizioni acquisite, l’Italia potrebbe fare tre cose. Primo: un’operazione massiccia di nation-branding per definire come vogliamo che gli altri ci percepiscano e agire perché questo succeda. Secondo: smetterla con il lamento sterile e guardare al bicchiere mezzo pieno e ripartire da quello che facciamo bene. Terzo: osservare i dati oggettivi. L’Italia non è affatto male, così come non lo è il mondo, che ha fatto passi da gigante in tutti i campi negli ultimi secoli, così come documentato da Steven Pinker dell’Università di Harvard. L’Italia non è una grande potenza.
Tuttavia, visti gli indicatori internazionali, è qualcosa di più di una media potenza. Mancano però la volontà e la determinazione ad agire come tali. Forse, l’Italia si può definire come una “potenza nascosta”, il cui peso internazionale è maggiore di quanto comunemente percepito.

* Professore ordinario di Storia delle Relazioni Internazionali – Università di Udine. Titolare della cattedra Carlos Saavedra Lamas in Relazioni Internazionali – Università di Erlangen-Norimberga, Germania

Articolo in mediapartnership con Giornale Diplomatico.