di Giuseppe Gagliano –
Dopo il decimo mese di conflitto, la guerra di Gaza, la più lunga mai affrontata da Israele, si rivela un fattore di tensione implacabile per la società israeliana. Le questioni critiche che emergono, mostrando le crepe che si aprono nella società sono il risultato diretto di un fallimento militare, un elemento che rischia di innescare una crisi esistenziale per Israele.
Fin dagli anni precedenti alla fondazione dello Stato nel 1948, il movimento sionista aveva immaginato Israele come uno stato guerriero, eternamente in conflitto con i suoi vicini e la cui sopravvivenza dipendeva dalla capacità di esercitare un potere militare schiacciante. Questo approccio richiedeva un esercizio attivo e ricorrente della forza per mantenere i paesi arabi in uno stato di soggezione psicologica e militare.
Per perseguire questo obiettivo i governi israeliani hanno adottato un modello occidentale classico: supremazia tecnologica combinata con una strategia aggressiva volta a distruggere il nemico in tempi estremamente brevi. Le precedenti guerre sostenute da Israele sono state rapide e di grande intensità, il che ha normalizzato non solo le forze armate ma anche l’intera società israeliana, costantemente armata e preparata per il conflitto.
Questo modello fondativo è entrato in crisi il 7 ottobre 2023, segnando l’inizio di un progressivo smantellamento che minaccia la stabilità dello Stato sionista. Come ha dichiarato il generale di brigata Yitzhak Brik, se il conflitto a Gaza e nel nord dovesse continuare, Israele rischierebbe il collasso entro un anno.
L’operazione “Inondazione al-Aqsa” ha messo alla prova la capacità di controllo e reazione delle Forze di Difesa Israeliane (FDI), rivelando l’incapacità di Israele di affrontare una guerra prolungata in cui il modello di rapidità e intensità non è applicabile. Il risultato di questa strategia è stato un genocidio della popolazione civile e la distruzione quasi totale delle infrastrutture di Gaza, senza però compromettere significativamente la capacità combattiva della resistenza palestinese.
Oltre alle perdite umane e ai danni materiali, l’impatto economico del conflitto e il consumo di munizioni rappresentano una preoccupazione crescente. Senza l’enorme supporto degli Stati Uniti il continuo bombardamento, che è proseguito per oltre 300 giorni, sarebbe stato impossibile. Tuttavia, è evidente che questo flusso di bombe e proiettili non può continuare indefinitamente, e Israele potrebbe presto trovarsi di fronte a una carenza di munizioni, simile a quanto accaduto in Ucraina.
Di fronte all’impossibilità di sconfiggere militarmente la Resistenza palestinese, i leader israeliani sembrano orientarsi verso una soluzione di controllo prolungato nella Striscia di Gaza. Ciò si tradurrebbe in una presenza militare a lungo termine lungo i corridoi strategici di Filadelfia, al confine con l’Egitto, e di Netzarim, che divide la Striscia di Gaza in senso longitudinale.
Tuttavia, anche se fosse possibile attuare questo piano, che comporta la distruzione sistematica degli edifici lungo questi corridoi e l’installazione di guarnigioni fortificate, è probabile che si ricreino le condizioni che hanno portato alla crisi attuale. La Resistenza potrebbe riorganizzarsi e riprendere gli attacchi contro la presenza militare israeliana, minando ulteriormente la già precaria posizione di Israele.
Mentre la situazione a Gaza rimane critica, il vero tallone d’Achille di Israele si trova in Cisgiordania. Qui la politica di colonizzazione e frammentazione territoriale attuata da Israele ha portato a una presenza araba discontinua e a una forte tensione con la popolazione palestinese. Con l’aumento dell’influenza della Resistenza e il declino del controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese, le FDI si trovano a fronteggiare una Resistenza sempre più armata e organizzata.
Nel frattempo, sul fronte libanese, Hezbollah continua a rappresentare una minaccia significativa. La capacità di dissuasione di Hezbollah, dimostrata da attacchi precisi e ben coordinati, costringe Israele a mantenere un elevato numero di riservisti mobilitati e a evacuare ampie aree lungo il confine, evidenziando un cambiamento radicale nell’equilibrio di potere nella regione.
In sintesi la quarta guerra di Israele potrebbe essere l’ultima, non per un cambiamento politico o strategico, ma a causa di un cambiamento radicale nell’equilibrio di potere regionale e globale. Con la dissuasione israeliana ormai inefficace e la resistenza palestinese e libanese sempre più audace, Israele si trova di fronte a una crisi esistenziale. Un conflitto che non può né vincere né permettersi di perdere, rendendo la posizione di Tel Aviv estremamente precaria e il futuro della regione ancora più incerto.