La Russia sospende l’accordo sul “corridoio del grano”

di Marco Testolin

“In seguito all’atto terroristico compiuto dal regime di Kiev con la partecipazione di esperti britannici contro navi della flotta del Mar Nero e navi civili impegnate per garantire la sicurezza dei corridoi del grano, la Russia sospende la sua partecipazione all’attuazione dell’accordo sull’esportazione di prodotti agricoli dai porti ucraini”. Questa la recente dichiarazione su Telegram del ministro della Difesa della Federazione Russa, Sergej Šojgu.
Il repentino ritiro della Russia dall’importante accordo sul grano, firmato a fine luglio dai due paesi nemici grazie alla mediazione del presidente turco Erdogan e del segretario delle Nazioni Unite Gutierrez, è conseguenza diretta dell’attacco ucraino nei confronti di alcune navi della Flotta del Mar Nero ormeggiate al porto di Sebastopoli. Sempre Šojgu, riporta l’agenzia di stampa russa Tass, ha sottolineato come le navi attaccate non fossero obiettivi militari, in quanto impegnati nel controllo del corridoio del grano; il governatore di Sebastopoli, Mikhail Ravzozhaev, ha definito l’attacco come il più devastante nelle acque della fondamentale baia strategica dall’inizio dell’“operazione militare speciale”.
Fa scalpore l’accusa del ministero della Difesa russo nei confronti della Royal Navy, rea di aver addestrato il personale del 73mo Centro Speciale per le Operazioni Marittime ucraino all’uso dei droni impiegati nell’incursione nel porto crimeiano e, sempre secondo il Tass, di essere i responsabili del sabotaggio del gasdotto Nord Stream 2 di fine settembre. Oltre alla presenza di navi da guerra britanniche nelle acque baltiche subito dopo il sabotaggio, ufficialmente accorse in prevenzione di ulteriori azioni ad infrastrutture similmente strategiche, non sembrano esserci altre prove in sostegno della tesi russa. Ciononostante il “segreto investigativo” che il premier svedese Magdalena Andersson ha fatto calare sulle indagini non permette ad oggi di indicare un responsabile, e quindi rimangono circostanziali le accuse pervenute dalle cancellerie occidentali verso il Cremlino e viceversa.
La risposta ucraina al comunicato russo non si sono fatte attendere: Andriy Yermak, capo dello staff del presidente Zelensky, ha imputato alla Russia il “fittizio attacco terroristico alle proprie stesse infrastrutture”, mentre il ministro degli esteri Kuleba lo ha dichiarato un “finto pretesto” per affossare l’accordo. Tutto ciò è avvenuto solo pochi giorni dopo l’attestazione di “relativo ottimismo” sul rinnovo del patto sull’esportazione del grano ucraino sostenuta dal sottosegretario generale per gli Affari umanitari dell’Onu Martin Griffiths.
La brusca interruzione di un accordo tanto importante, vista anche la sospensione delle esportazioni cerealicole dell’India, secondo produttore di grano al mondo, per motivi di sicurezza alimentare nazionale, rischia di mettere in ginocchio i tanti paesi che dipendono fortemente dal grano ucraino. In Africa settentrionale e nel Sud-Est asiatico, dove si trovano sei dei dieci paesi maggiormente dipendenti dalle importazioni di grano ucraino, una simile carenza potrebbe portare in tempi brevi a catastrofi umanitarie e a un grosso aumento delle spinte migratorie, minaccia non da sottovalutare specialmente per quei paesi come l’Italia geograficamente predisposti alla loro accoglienza. Un nuovo tavolo negoziale andrà aperto al più presto: chissà se sarà l’occasione buona per ampliare tali discussioni ad un (auspicabile) cessate-il-fuoco sul campo di battaglia ucraino.