La spia nordcoreana a Roma

di Giovanni Caprara

Trasmettere messaggi cifrati alla radio ha il sapore del passato, sembra di tornare alla Guerra Fredda, ma soprattutto è una distonia nell’era della digitalizzazione. Eppure radio Pyonyang sino a poco tempo fa usava questo desueto canale per dialogare con i suoi agenti segreti in terra straniera. Frasi criptate che facevano riferimento a numeri di pagine e righe di misteriosi libri. Nel luglio 2016 la voce dello speaker citava un esercizio matematico per l’agente numero 27, dunque anche se il seguito del messaggio risultava cifrato, il destinatario era in chiaro e non lasciava dubbi ad errate interpretazioni. Il governo sudcoreano ha sempre tentato di bloccare le frequenze della radio nordcoreana, ma con scarsi risultati in quanto le trasmissioni avvenivano su onde corte difficilmente oscurabili. E’ possibile supporre che il ritorno al passato sia giustificabile con l’astuzia di sorprendere il nemico non più in grado di contrastare un sistema oramai in disuso. Le ultime trasmissioni rilevate sono del 2017 e concernono sempre lezioni di matematica a cui seguono riferimenti di pagine e righe.
Non solo comunicazioni, ma soprattutto gli agenti infiltrati nordcoreani sono particolarmente attivi, ed anche Roma è nei loro bersagli. L’Italia sembra abbia volato le sanzioni imposte alla Corea del Nord con l’esportazione di prodotti alimentari che hanno fruttato guadagni superiori ai 45mila dollari. Il mediatore fra le aziende italiane ed il governo nordcoreano è un personaggio misterioso e controverso che ha operato indisturbato a Roma per parecchi anni. Come vuole la leggenda sugli agenti infiltrati, la copertura di Kim Su-gwang era quella di un solerte diplomatico funzionario del Programma Alimentare Mondiale dell’Onu. Un esponente del World Food Programme ha precisato che il presunto agente segreto non era più loro dipendente dal 2015, ma Kim Su-gwang dopo quell’anno ha continuato a possedere due immobili in Italia ed essere contocorrentista di diversi istituti bancari. L’infiltrato del Reconnaissance General Bureau, i servizi nordcoreani, era già stato bandito dalla Francia ed i suoi beni congelati insieme a quelli del padre e della sorella, tutti agenti segreti. La Francia è parte in causa della vicenda perché il capo della cellula spionistica della rete europea, Kim Young-nam omonimo del fratellastro del dittatore, viveva e lavorava a Parigi, sempre sotto copertura diplomatica, come accreditato all’Unesco. Kim Su-gwang era il suo contatto in Italia ed il terzo componente della cellula nordcoreana, Kim Su-gyong, ufficialmente non lavorava per i servizi segreti nordcoreani ma godeva di libertà di movimento in Europa grazie al suo incarico da direttore delle relazioni internazionali per la Korean United Development Ban.
Kim Su-kwang ha più volte tentato di dissimulare i suoi spostamenti cambiando nome ed ottenendo otto carte di identità, in particolare dal 2003 al 2015, quando soggiornava a Roma. Qui, giovandosi dei privilegi di diplomatico, ha avuto la possibilità di spostarsi in tutta Europa. Kim Su-gyong ha aperto almeno sei conti bancari sotto falso nome, dove venivano versati il suo stipendio e la pensione del padre, e la particolarità più rilevante è che gli accrediti continuavano anche dopo il congelamento francese, non solo in Italia, ma anche in Malesia, Cina e Russia.
Di tutto questo, resta che un cittadino straniero licenziato dal suo lavoro e cassato dal protocollo diplomatico, perché non ne aveva i titoli, abbia potuto continuare ad operare indisturbato sino a quando la sua copertura è saltata grazie ad una indagine di un team di analisti dell’Onu che ha smascherato la cellula dell’RGB non solo in Italia ma anche in Malesia. Oltretutto, sembra che la prima segnalazione su Kim Su-gyong sia proprio dell’intelligence italiana agli inizi del 2004, quando i nostri analisti hanno comunicato agli Stati Uniti il dubbio profilo del personaggio. Da quel momento in poi, Kim Su-gyong sarebbe stato attenzionato al fine di monitorare la sua fitta rete di relazioni. Il sospetto era che si occupasse non solo di generi alimentari di pregio, ma dell’acquisto di tecnologia e componenti per lo sviluppo del programma nucleare del suo paese. Ma la sorveglianza non sembra abbia avuto gli effetti desiderati.