La Tunisia di Ennahda alla prova, tra problemi veri e falsa informazione. Intervista a Omar Belgasem.

di Enrico Oliari, con la collaborazione di Saber Yakoubi –

Nel deserto della Tunisia centrale, tra Ben Garden e Medenina, vi è uno di quei punti di ristoro di antica tradizione dove ai viaggiatori di passaggio viene servito capretto fresco alla griglia: si tratta di un complesso con sala da pranzo, bar, minimarket, lavatoio e moschea, una tappa obbligata situata all’intersezione delle strade provenienti dal valico libico di Ras Ajdir, dall’importante porto di Gabes, dalla centralissima Tataouine e dalla turistica Matmata. E’ un luogo dove chi, come fosse un segno,  passando lascia la sua opinione sui tempi che corrono, il suo parere su questo o su quello, sulla rivoluzione, sui profughi libici, sul dopo Gheddafi e sui problemi del nuovo governo tunisino. E vi è chi, in modo del tutto fisiologico, li raccoglie, li matura e se i politici passano, il proprietario del ristoro resta, con le idee lucide di chi sa ascoltare e non solo parlare.

“Di qua passavano e passano ogni genere di persone e di gruppi, da gente del posto ai contrabbandieri di benzina che vanno e vengono dalla Libia, dai commercianti alle organizzazioni non governative dirette ai campi profughi”, spiega a NotizieGeopolitiche Omar Belgasem, proprietario del ristoro. “Si va avanti come sempre, ma non nascondo la mia soddisfazione nel vedere che in Tunisia, a differenza degli altri paesi interessati dalla Primavera araba, le cose vanno molto meglio: noi abbiamo fatto cadere Ben Alì e la sua dittatura ed in poco tempo siamo passati ad un nuovo governo, eletto democraticamente”.

– Tuttavia in Europa continuano ad arrivare notizie di proteste, quando non di disordini, per i più disparati motivi, che vanno dalla disoccupazione alla richiesta delle studentesse del diritto di portare il niqab all’università: non Le sembra il sintomo di un governo incapace di muoversi?

Dopo la colonizzazione francese, terminata nel 1957, la Tunisia è stata sottoposta a due dittature per i suoi successivi 53 anni, una di Bourghiba ed una di Ben Alì, entrambe fatte di corruzione e per il beneficio di pochi: pensare che una tale eredità del passato possa essere spazzata via in un istante è quanto meno ridicolo.
Molte cose sono comunque state fatte e quel che è certo è che vi è un’informazione assolutamente distorta, per non dire volutamente ipocrita, nei confronti dell’attuale governo, rivota sia all’opinione pubblica interna che a quella occidentale. C’è un tentativo insomma di indebolire l’immagine del governo guidato da Ennahda e magari di farlo cadere, come accadde in Algeria con il Fis (Fronte Islamico di Salvezza, ndr.) e in Palestina con Hamas. L’informazione occidentale non fa mistero della sua scarsa simpatia per Ennahda, ma io vorrei ricordare sia che il partito di Gannoushi ha vinto le elezioni in modo del tutto democratico e con un consenso che gli ha permesso di conquistare 89 dei 217 seggi, sia che i politici di Ennahda sono tunisini e non alieni di un altro pianeta: le elezioni sono state fatte solo pochi mesi fa, è giusto che Ennahda abbia la possibilità ed il tempo di governare”.

– Ennahda è un partito islamico-moderato, mentre Ben Alì aveva introdotto una sorta di laicismo forzato: non teme che anche in Tunisia, come già sta avvenendo nella vicina Algeria, possano presentarsi sulla scena pericolosi radicalismi?

Io piuttosto sono perplesso da un Parlamento europeo che con una seduta di mezza giornata sentenzia sul velo della donna tunisina o di quella algerina: sulle nostre spiagge siamo abituati a vedere da sempre turisti occidentali, maschi e femmine, che girano a petto o completamente nudi, eppure non abbiamo mai detto nulla: dal momento che noi rispettiamo la libertà degli altri, ritengo corretto che anche la nostra sia meritevole di rispetto, magari da coloro che si vantano di essere gli ‘esportatori’ dei diritti.
Al di là di questo non ritengo che in Tunisia possa radicarsi l’estremismo di Al Qaeda, proprio per il carattere della gente tunisina. Anzi, penso che ovunque il problema venga ingigantito: in Mauritania, ad esempio, sono intervenuti nel luglio scorso i francesi per affiancare le truppe governative e dai soldati si è passati alle posizioni stabili… da lì allo sfruttamento dei beni e delle risorse locali il passo è breve. Non è radicalismo, questo?”.

– Tutt’ora in diversi paesi arabi sono in corso fasi della cosiddetta ‘Primavera araba’ e non passa giorno senza che arrivino notizie di proteste e di disordini ora da un paese, ora da un altro: Lei pensa che la Tunisia sia vista dal restate mondo arabo come il paese dove tale fermento popolare è iniziato o piuttosto come la causa di una serie di problemi e di instabilità?

L’ampia categoria delle persone più deboli, ovvero di coloro che soffrivano o che soffrono nel mondo arabo, sono contenti di quanto è avvenuto in Tunisia. Forse oggi a temere sono più i paesi guidati dalle monarchie, in quanto il cambiamento potrebbe comportare la fine di una determinata famiglia e quindi del pezzo della storia del paese stesso. Per questo motivo nei paesi retti dalle monarchie vi è una reazione più energica nei confronti degli oppositori”.

– Qui in Tunisia si parla dell’imminente arrivo di marines americani in Libia con lo scopo di far deporre le armi ai molti che ancora le hanno. Cosa ne pensa?

Esisteva in Libia un triangolo formato da tre città, Ras Lanuf, Briga e Ajdabiya, inaccessibile per gli arabi, in quanto vi sono istallati gli impianti per la lavorazione e la spedizione del petrolio: oggi lì vi entra chiunque ed è in corso vero e proprio arraffa arraffa di barili di oro nero. E’ facile pensare che più che per la deposizione delle armi i marines intervengano per porre ordine e presidiare quel determinato triangolo… ma è certo che il loro arrivo comporterà una rivoluzione nella rivoluzione, con il passaggio dei combattenti da una fazione all’altra. La popolazione libica è armata fino ai denti e lo stesso Gheddafi, con tutto il suo esercito, non è stato in grado di fermare gli insorti. Se si concretizzerà l’arrivo dei marines, vi sarà senza dubbio un nuovo bagno di sangue e quindi la destabilizzazione di tutta l’area. Noi tunisini, ad esempio, abbiamo da sempre scambi commerciali e aspetti sociali in comune con la Libia, per cui il futuro potrebbe essere tutt’altro che roseo. Lo stesso discorso potrebbe interessare anche l’Europa, se si pensa che vi sono solo 34 chilometri di mare che separano le nostre coste da quelle italiane…”.

– Andiamo più a est: che ne pensa dell’Iran e della questione dello Stretto di Hormuz?

Guardi, secondo il mio modesto parere questo è un film persiano, occidentale ed hollywoodiano. Con le sole esercitazioni allo Stretto di Hormuz, l’America ha potuto vendere un quantitativo enorme di armi ai paesi dell’area. Dal 1979, anno della Rivoluzione iraniana, ad oggi, si è parlato tanto, ma non è mai stata sparata una pallottola”.