La Turchia vuole restituire all’Europa i suoi jihadisti

Il governo turco continua a sfidare Bruxelles, mentre è in corso il processo di adesione (già versati 9,1 miliardi). Forse è arrivato il momento di chiudere ogni rapporto.

di Enrico Oliari

Ankara è fermamente intenzionata a restituire ai paesi d’origine i jihadisti dell’Isis catturati nel nord della Siria, in particolar modo quelli europei. La cosa era stata annunciata già due giorni fa dal ministro dell’Interno turco, Suleyman Soylu, il quale aveva enfaticamente affermato che “la Turchia non è un albergo per terroristi dell’Isis”.
In un primo momento si era pensato ad una boutade da leggersi nel quadro della pioggia di critiche per l’offensiva turca nel Rojava, il Kurdistan siriano, ma oggi il Sovlu ha mostrato la determinazione dei turchi a rimandare in Europa i jihadisti catturati, “anche se sono stati privati della loro cittadinanza”.
Si tratta perlopiù di miliziani dell’Isis presi dalle carceri curde che si trovano alla fascia di sicurezza voluta dalla Turchia di 30 chilometri di profondità per 187 di larghezza nel territorio siriano, ed il viceministro turco dell’Interno, Ismail Catakli, ha specificato che “Fino a questo momento abbiamo catturato 287 membri di Daesh (Isis) a seguito dell’operazione militare nel nord della Siria. Ci sono 45 cittadini turchi e 242 stranieri di 19 nazionalità, stiamo informando i Paesi interessati”.
Specialmente, ma non solo, per l’invasione del nord della Siria, voluta dai turchi ufficialmente per combattere il terrorismo curdo e scongiurarne i contatti con il Pkk, Ankara e Bruxelles sono sempre più distanti. E’ infatti sotto gli occhi di tutti non solo l’iniziativa militare che va contro il diritto internazionale, ma soprattutto l’ambiguità dei turchi, i quali tacciano di “terrorismo” i curdi dell’Ypg (ala armata del Partito Democratico), cioè gli stessi che hanno rappresentato per primi una diga all’espansione dell’Isis, si pensi alla storica battaglia di Kobane, e che sono stati determinanti per la sconfitta in Siria dello Stato Islamico. Fino all’attentato di Suruc del luglio 2015 gli aeroporti turchi sono stati invece la porta d’accesso allo Stato Islamico per decine di migliaia di foreign fighters, che per raggiungere i territori dell’Isis passavano da quello turco con l’evidente compiacenza delle autorità di Ankara. E’ inoltre risaputo che la Turchia acquistava il petrolio dell’Isis, come pure che beni logistici ed armi passavano dalla frontiera turca e che i miliziani dell’Isis feriti venivano curati negli ospedali turchi.
Tuttavia nel nord della Siria non c’era solo l’Isis. C’erano anche e ci sono tutt’oggi i miliziani di diversi gruppi jihadisti tra cui, e va per la maggiore, Hayat Tahrir al-Sham, ex al-Nusra e cioè al-Qaeda, gruppo protetto, sostenuto e persino impiegato contro i curdi dalla Turchia.
In questa sorta di ipocrisia istituzionalizzata e benedetta dagli Usa che temono l’uscita di Ankara dalla Nato, la Turchia continua a ricevere fiumi di denaro dagli europei, e non si tratta solo del 6 miliardi di euro per la gestione dei profughi e dei migranti in arrivo da sud e da est. Come da accordi è infatti ancora attivo il processo di adesione della Turchia all’Unione Europea, nonostante le due opinioni pubbliche siano contrarie.
Quale fondo di pre-adesione la Turchia ha preso dalle tasche degli europei oltre 9 miliardi di euro, per la precisione 4,6 miliardi di euro per il periodo 2007-2013 e di 4,5 miliardi per il settennio 2014-2020. Denaro necessario per costruire infrastrutture e mettere in piedi servizi per i cittadini turchi, ma che tra controlli assenti e fiducia abusata sono finiti in spese che poco hanno a che fare con lo scopo per cui sono stati dati.
In questo quadro Ankara vuole rispedire i jihadisti dell’Isis, che a suo tempo sono passati dalla Turchia e grazie alla Turchia, in Europa. Ma forse è davvero arrivato il momento di prendere jihadisti e migranti, farsi restituire i miliardi e chiudere ogni rapporto con la Turchia di Recep Tayyp Erdogan, che qui in Europa nessuno vuole.