Landgrabbing: il cancro dell’Africa

di C. Alessandro Mauceri –

Pur disponendo di ricchezze inestimabili sia dal punto di vista naturalistico che minerario che agricolo, molti paesi africani continuano ad essere meno sviluppati di altre aree del pianeta. Uno dei motivi di tutto questo è lo sfruttamento delle risorse dell’Africa da parte di altri, poco importa se imprese o governi. Un fenomeno chiamato landgrabbing (e watergrabbing), che per secoli ha impoverito e schiavizzato questo continente. Una piaga che ancora oggi, nel XXI secolo, rimane uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo.
A confermarlo i dati l’ultimo rapporto dell’organizzazione non governativa Land Matrix: secondo i ricercatori, negli ultimi vent’anni ben 35 milioni di ettari del continente africano sono stati “ceduti” a società straniere. Gruppi asiatici, europei, mediorientali, libanesi e statunitensi che sfruttano tutto ciò che è possibile, dalle foreste (aumentando i rischi per l’ambiente), alle risorse minerarie, e da anni si parla del coltan dal quale si ricava il litio fondamentale per tutte le batterie di cellulari, tablet, computer e auto.
Esemplare il caso della Repubblica “Democratica” del Congo, un paese ricchissimo di materie prime, di acqua e di risorse minerarie, ma la cui popolazione è tra le più povere del pianeta. Una delle cause è la devastazione da parte di oltre 30 multinazionali che hanno preso il controllo delle principali risorse del paese.
Lo stesso in Ghana, dove le acquisizioni di terreni su larga scala (LSLA) coprono circa il 9% dei 4,7 milioni di ettari di terra arabile del Ghana. Una superficie che potrebbe sembrare non dover avere un impatto significativo sulla situazione del paese se non fosse che riguarda proprio le aree più fertili e con accessibilità all’acqua.
Situazione analoga in Kenia: nell’immaginario collettivo questo paese significa safari e savane incontaminate. Nessuno pensa che dei 58 milioni di ettari di superficie solo il 10% è classificato come “terreno coltivabile”, e che molti di questi sono sotto il controllo di decine di grandi aziende straniere. A gennaio 2020, secondo Land Matrix erano almeno 14 gli accordi conclusi, per un totale di 269.411 ettari. Una superficie solo apparentemente piccola: questi accordi hanno implicazioni significative per le comunità locali e le popolazioni indigene. Molte le concessioni per le colture di canna da zucchero. Esemplare il caso Bedford Biofuels, azienda registrata in Canada, che nel 2009, firmò un contratto di locazione per 160mila ettari per una durata di 45 anni, con l’obiettivo dichiarato di coltivare principalmente jatropha e colture alimentari per i residenti dei comuni limitrofi. Lo stesso anno il progetto partì con 10mila ettari piantumati, ma per produrre e vendere biocarburante sui mercati europei. A seguito delle proteste della comunità locale, che si rifiutò di lasciare la terra preoccupata per i diritti di pascolo, il progetto venne abbandonato. Biocarburanti Bedford dichiarò fallimento nel 2013, e nessuno pensò più ai danni prodotti su decine di migliaia di ettari di terreno un tempo fertili.
Così in Etiopia. Secondo Land Matrix, sono ben 72 i contratti attivi per lo sfruttamento delle risorse del paese da soggetti esteri, principalmente per realizzare prodotti agricoli da esportare (riso, mais, cotone, caffè, canna da zucchero, te e altri). Un territorio ricchissimo che, grazie alla compiacenza di alcuni governi, non è stato sufficiente a far salire il PIL pro capite oltre i 2.200 dollari l’anno, tra i peggiori 25 al mondo.
Tutti sistemi analoghi di sfruttamento delle risorse africane, tutti esempi di un fenomeno che Land Matrix definisce “corsa alla terra”, l’acquisizione di terreni su larga scala (LSLA). Tutti accomunati dalle implicazioni di vasta portata: dalla trasformazione dell’ambiente alla crescita di economie e società rurali fino a essere causa di molti conflitti interni. Per non parlare del livello di scarsa istruzione e povertà, o delle conseguenze geopolitiche (si pensi ai migranti) che derivano dall’impoverimento delle popolazioni locali.
Un mondo spesso segreto: non è raro che gli accordi fondiari vengano sottoscritti a porte chiuse e che le informazioni sulla proprietà fondiaria non siano disponibili. Un modo di fare favorito dall’assenza di registri catastali che nessuno pensa di aggiornare e di strumenti di pianificazione territoriale che qualcuno preferisce lasciare inadeguati.
Tessere di un unico puzzle che spiga il perchè di paesi che potrebbero crescere, “svilupparsi”, avere un futuro roseo senza dover elemosinare gli aiuti di organizzazioni internazionali e “benefattori”, restano arretrati e governati per decenni da dittatori senza scrupoli. Anche gli aiuti internazionali “concessi” per aiutare queste popolazioni molto raramente raggiungono la gente: spesso servono a creare infrastrutture e servizi per le multinazionali che poi si spartiscono il continente come una torta.