L’Africa si tinge di rosso

di Damiano Greco *

YuanRisiko. Parliamo del celebre gioco di strategia da tavolo, dove lo scopo è segreto
e diverso per ciascun giocatore, con un obiettivo predefinito che può consistere nella conquista di un certo numero di territori oppure nella conquista di due o più continenti, al fine di avere la supremazia in alcune zone del globo. La Cina negli ultimi decenni ha indossato le vesti del tipico giocatore “Risikiano” dimostrando di possedere le cinque migliori virtù richieste per recitare al meglio tale ruolo, ovvero:

1. La pazienza.
Infatti a partire dalla metà del secolo scorso, il gigante asiatico ha iniziato ad elaborare un grande disegno, una manovra tattica e strategica ben pianificata di investimenti in Africa. Grazie allo sviluppo i rapporti bilaterali, cooperazione e aiuto, la Cina può garantire ai paesi Africani un enorme flusso di beni di consumo a buon mercato, prima preclusi a larghe fette di popolazione a causa degli alti costi dei prodotti occidentali.
Le relazioni con il continente si rafforzano tra il 1963 e il 1964 quando il primo ministro cinese Zhou Enlai visita dieci paesi africani. Durante la visita, vengono poste le basi di futuri rapporti di collaborazione governati da principi di parità, reciprocità d’interessi e non interferenza nelle politiche interne; basi che regolano tutt’oggi la coesistenza pacifica tra la Cina e il continente;

2. La coerenza.
La penetrazione cinese in Africa fa parte però di un progetto più ampio, mirante a guadagnare alla Cina una posizione sempre più influente a livello internazionale, una posizione che le consenta di riguadagnare quella centralità, quel ruolo che aveva occupato per secoli, ma che era stato messo in crisi a metà Ottocento dalla politica imperialista delle potenze Occidentali. Il tentativo cinese di costruire un partenariato strategico con l’Africa deve essere visto nel più ampio contesto dell’obiettivo strategico centrale della politica estera di Pechino: promuovere la crescita pacifica della Repubblica Popolare cinese verso una super potenza;

3. L’intraprendenza.
L’ingresso in forza della Cina sul mercato africano si scontra con gli interessi occidentali, che fino a qualche anno fa hanno dominato incontrastati i rapporti commerciali tra la Cina e i paesi dell’Africa, evidenziando come questi si espandano in fretta e influiscano fortemente sugli equilibri mondiali, a fronte delle aziende occidentali – che hanno sempre considerato molto rischioso investire in questi paesi per la debolezza e la corruzione dei governi, oltre che per le frequenti guerre – la Cina invece guadagna mercati per le sue merci ed esporta forza lavoro e competenze tecniche, con crescenti effetti politici. I paesi africani sembrano apprezzare Pechino non solo per la serietà e la rapidità con cui esegue gli accordi commerciali, ma anche per l’estrema varietà dei prodotti immessi sul mercato. Il successo economico della Cina offre all’Africa non solo un’alternativa al modello di sviluppo occidentale, ma anche l’immagine del duro lavoro che è stato necessario per realizzarlo.

4. La temperanza.
L’interesse prioritario di Pechino consiste nel garantirsi e incrementare l’accesso alle risorse naturali ed energetiche dell’Africa. In quest’ottica le compagnie energetiche nazionali cinesi sono ampiamente presenti su tutto il continente; sviluppano pozzi petroliferi e forniscono alle controparti africane tecnologia adatta alle proprie esigenze. l’Africa è un mercato in crescita di un miliardo di persone, con prospettive di aumento del reddito disponibile e una classe media in espansione. Si stima che il Prodotto interno lordo dell’Africa crescerà di mille miliardi di dollari entro il 2020, portandolo ad un totale di duemilaseicento miliardi di dollari. Inoltre, gli investimenti in Africa potrebbero anche facilitare il governo cinese nel tentativo di ristrutturare la propria economia delocalizzando in loco industrie inquinanti e ad alta intensità di lavoro.

5. La diplomazia.
La diplomazia cinese in Africa diventa uno strumento efficace per la realizzazione del Soft Power, ovvero l’abilità di persuadere, convincere, attrarre e cooptare, tramite risorse intangibili quali “cultura, valori e istituzioni della politica” promuovendo una politica tesa al conseguimento di uno “sviluppo armonioso “con il fine di ispirare l’entusiasmo del popolo per il progresso. Fa da contrappeso l’Hard
Power riferito a tutte le azioni nei settori economico, finanziario e militare che vengono utilizzati dai paesi per ottenere un comportamento vantaggioso nei propri confronti.

Lo Yuan si veste di nero.
Lo Zimbabwe dal mese di gennaio 2016 ha introdotto lo yuan, la moneta nazionale cinese, fra le valute che hanno corso legale nel paese. La decisione è stata annunciata dal ministro delle finanze dello Zimbabwe Patrick Chinamasa e fa parte di un accordo con cui la Cina cancellerà un debito dello Zimbabwe da 40 milioni di dollari americani.
Il paese africano non ha più una moneta nazionale propria, a causa dell’iperinflazione che ha reso inutilizzabili le banconote stampate dalla banca centrale del paese. Da allora lo Zimbabwe ha permesso ai cittadini di utilizzare alcune valute straniere, specialmente il dollaro americano e il rand sudafricano, al posto della moneta nazionale.
Lo yuan sarà l’ultima a ottenere questo status: l’accordo rafforza ulteriormente i rapporti commerciali tra lo Zimbabwe e la Cina, il paese con cui trattiene la maggior parte degli affari. Come detto negli ultimi anni i rapporti tra lo Zimbabwe e molti stati del continente nero nei confronti dei paesi occidentali si sono invece molto irrigiditi, a causa della preoccupante situazione dei diritti umani nel paese. Pechino continuerà a sostenere Harare, mentre allungherà la propria mano sulle risorse naturali del paese. In mancanza di competizione con ditte occidentali, lo Zimbabwe potrebbe diventare la più importante base della Cina in Africa.
Tuttavia le relazioni economiche Zimbabwe – Cina rimangono ancorate ad uno schema piuttosto tradizionale, fondato sullo scambio “materie prime – prodotti manifatturieri”, che di fatto continua a relegare il continente ad una dipendenza di origine coloniale dalla produzione di materie prime, impedendo la diversificazione delle economie africane, i governi dovrebbero impegnarsi ad incoraggiare le capacità imprenditoriali degli autoctoni, così come gli investimenti dall’estero.

* Damiano Greco. Laurea triennale in Comunicazione Internazionale e attualmente laureando in Relazioni Internazionali e Cooperazione allo sviluppo (Laurea Magistrale), appassionato da sempre di relazioni internazionali e di comunicazione politica, con la finalità di intuire sempre quali scenari futuri ci aspettano. Molti viaggi, varie esperienze lavorative, tra cui un tirocinio molto importante con la Camera di Commercio italiana nella Repubblica Argentina. Relazioni transatlantiche, America Latina, Mediterraneo e Medio Oriente principali focus di interesse.