di Lorenzo Pallavicini –
L’assemblea panserba, riunitasi ad inizio mese a Belgrado, torna a mettere in agitazione le cancellerie occidentali per una possibile crescita della instabilità nei Balcani, in cui vi è la presenza dei contingenti NATO della missione KFOR, iniziata nel 1999 con la risoluzione 1244 delle Nazioni Unite seguente all’operazione militare Allied Force, oltre alla partecipazione di forze militari europee nella Bosnia Erzegovina all’interno della mandato ONU Eufor Althea.
La dichiarazione congiunta del presidente serbo Vucic e del leader dei serbi di Bosnia Dodik sulla unità e tutela dei diritti nazionali e politici e del futuro comune del popolo serbo appare agli occhi occidentali come un tentativo di rinfocolare le tensioni, mai sopite, tra le etnie che compongono il mosaico balcanico, dove anche l’aspetto religioso, islam per i bosgnacchi, cristianesimo ortodosso per i serbi, assume un elemento identitario di antica data.
Per i bosniaci e per l’Alto rappresentante ONU, de facto ancora oggi la massima autorità del Paese visti gli accordi di Dayton del 1995, la saldatura dei legami culturali e soprattutto politici tra serbi e serbo bosniaci appare anche un modo per marcare la differenza tra le realtà serbe e l’Occidente, a partire dal rapporto con la Federazione Russa, vista ancora da Belgrado e da Banja Luka come un alleato strategico, seppur il ruolo cinese nel mondo economico serbo sia assai cresciuto negli ultimi dieci anni, con finanziamenti a infrastrutture e acquisizione di industrie.
Il problema kosovaro rimane al centro degli interessi serbi ed anche nella dichiarazione congiunta viene ribadito che tali territori rimangono “parte inalienabile della Repubblica della Serbia”, elemento criticato dall’ambasciatore americano a Pristina che ha affermato di quanto gli Stati Uniti riconoscano il Kosovo come stato indipendente dalla Serbia.
Rimane sullo sfondo la tornata elettorale europea, che vedrà con buona probabilità la conferma della coalizione von der Leyen e la necessità, da parte di Bruxelles, di dimostrare di poter risolvere i problemi dell’area balcanica anche senza l’aiuto statunitense.
Tali elementi saranno visti con interesse dal mondo serbo nei prossimi anni. In particolare, qualora l’Unione Europea dovesse incrementare i suoi sforzi in favore dell’Ucraina, riducendo ancora i legami con la Federazione Russa, potrebbe allargarsi la frattura con il popolo serbo, diventato nell’ultimo decennio più euroscettico e diffidente verso la Ue, mettendo a rischio l’integrazione dei Balcani nella Unione, considerata dai vertici Ue elemento di futura stabilità e di sottrazione dell’area alle influenze russe.
Va ricordata ad esempio la forte alleanza tra il presidente della Repubblica Srpska Dodik ed il Cremlino. Il tentativo di separazione dalla Bosnia Erzegovina, per ora annunciato ma ancora distante dall’essere messo in pratica, potrebbe godere dell’appoggio russo e portare, in caso di gravi disordini, ad un potenziale scontro diretto tra Federazione russa e paesi occidentali, per i quali la Bosnia va preservata nella sua integrità in base agli accordi di Dayton.