Le bandiere ombra navali e il parziale aggiramento delle restrizioni europee al commercio russo

di Lorenzo Pallavicini

Nel giugno dello scorso anno il Consiglio europeo ha adottato il sesto pacchetto di sanzioni economiche contro la Federazione Russa, che vietano l’acquisto, l’importazione o il trasferimento di petrolio greggio e prodotti affini trasportati via mare dalla Russia a partire dal 2023. Si stima che tali restrizioni coprano quasi il 90% delle importazioni di petrolio russo in Europa.
A differenza delle sanzioni multilaterali adottate dall’ONU (articolo 41 della Carta), che possono vantare applicazione estesa a tutti i paesi ed utilizzate in passato contro nazioni come l’Iraq o la Jugoslavia negli anni Novanta, quelle di oggi contro la Russia sono ad appannaggio di una singola organizzazione sovranazionale, in questo caso dell’Unione Europea.
Come conseguenza le sanzioni unilaterali non possono considerarsi applicabili nei confronti di imprese appartenenti a stati non aderenti, bensì solo a quelle che soggiacciono alla giurisdizione del paese sanzionante.
Una buona parte dei commerci delle materie prime come minerali o gli idrocarburi (di cui la Russia è secondo produttore mondiale dopo gli Stati Uniti) avviene ancora via nave, pari a circa il 90% del totale, e il diritto internazionale del mare consente una scappatoia alla Federazione Russa per aggirare, almeno in parte, le sanzioni europee, ovvero l’uso delle bandiere ombra.
Secondo l’articolo 91 della Convenzione ONU sul diritto del mare, la nazionalità delle navi è la base su cui il regime marittimo internazionale è ordinato ed ogni Stato ha il potere di fissare le condizioni per l’assegnazione della relativa nazionalità alle navi, per la loro registrazione nel proprio territorio e per il diritto di battere la relativa bandiera provato da appropriati documenti.
La nozione di bandiera ombra riguarda i casi di navi legalmente battenti bandiera di uno stato diverso da quello di appartenenza. Il criterio più comune per determinare se una nave è registrata in un “registro aperto” è basato su bassi costi di registrazione, basse tasse e la libertà di impiegare lavoratori.
Dall’immatricolazione di una nave nei registri di un paese scaturiscono precisi legami giuridici con lo stato di registrazione e diversi armatori sfruttano tale possibilità per iscrivere le proprie navi nei registri di paesi la cui legislazione è più flessibile e meno onerosa, per ottenere vantaggi fiscali o eludere controlli.
Sebbene il divieto di attracco in Europa per le navi commerciali russe costituisca un problema logistico per Mosca, è ancora possibile per la Federazione Russa sfruttare le rotte che passano per il Mediterraneo e aumentare gli scambi con i paesi con forte interesse nelle materie prime russe, a cominciare da India e Cina e stati africani come l’Egitto, che ha messo a disposizione delle navi russe il terminal petrolifero di El Hamra sul Mediterraneo.
I porti nordafricani del Mediterraneo, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, hanno avuto un forte aumento di flussi navali russi, oltre il 140% in più rispetto al periodo pre guerra, e la stessa Turchia ha aumentato le sue importazioni di petrolio russo fino ad un 40% in più rispetto al 2021.
Dopo l’approvazione delle prime sanzioni europee a marzo 2022, per Mosca è scattato un piano per acquisire una serie di navi ombra, sia da armatori, comunitari sia rimettendo in moto imbarcazioni più obsolete e usate da paesi non comunitari come Venezuela o Iran per avere la flotta necessaria per raggiungere i porti indiani o cinesi, dove il flusso di petrolio russo è aumentato al punto che, secondo stime dell’Agenzia internazionale per l’energia, in India si arriva a punte dell’800% .
I paesi non europei, salvo alcune eccezioni, non paiono interessati a bloccare la circolazione delle merci russe, sia per l’influenza che Mosca esercita ancora su alcuni di essi sia per la difficoltà a contrastare i regimi fiscali favorevoli delle bandiere ombra come quelle panamensi o liberiane, che garantiscono non solo agli armatori russi ma anche ad altri imprenditori internazionali, compresi diversi occidentali, un sistema fiscale di comodo.
Per essere più efficace la UE potrebbe appoggiarsi al forte peso americano nel mondo e portare la questione all’attenzione non più solo del commercio marittimo, ma anche del WTO, che detiene la possibilità di intervento per il dumping fiscale: una delle conseguenze delle bandiere ombra é le concorrenza non legittima al regolare traffico mercantile, essendo spesso collegate a fenomeni di elusione fiscale, nonché a casi di sfruttamento di lavoratori e trasporto illegale di materiali.
Tuttavia, le tempistiche del WTO sono piuttosto lente, anche oltre quindici mesi prima di una pronuncia, e possono portare a potenziali cortocircuiti sul mercato globale, un evento temuto anche dal governo cinese, che anche sulla logistica marittima ha costruito la sua economia; non a caso Pechino ha più volte ha rimarcato pubblicamente la necessità di evitare il ritorno ad una “economia da guerra fredda”, cioè di stampo isolazionista e protezionista.
Per tali ragioni le sanzioni economiche europee, sebbene possano creare danni all’economia russa, difficilmente potranno essere totalmente efficaci per contrastare le bandiere ombra russe ed impedire così a Mosca di ottenere lo stesso quei profitti, specie nel lungo termine, sostitutivi del commercio con l’Europa dell’era pre guerra tramite altri paesi non comunitari, interessati a mantenere e persino rafforzare i legami commerciali con i russi.