
di Yari Lepre Marrani –
Parlare di Occidente non significa solo limitare il discorso ai principali fatti storico-geopolitici dei due grandi protagonisti geografici dell’occidente stesso, Europa e Stati Uniti. L’Occidente è una piramide talvolta traballante, come nei nostri tempi, ma le cui basi giuridiche a tutela delle libertà dell’uomo si intrecciano e si incuneano negli ultimi tre secoli attraverso documenti scritti che hanno sancito tali diritti: le Dichiarazioni. Tali documenti dal carattere universale sono stati concepiti in epoche storiche di fortissima intensità politica, in frangenti di mutamenti di incalcolabile importanza per il miglioramento dello stato sociale dell’uomo e da essi sono scaturiti, quasi per partenogenesi, dei corollari aventi ad oggetto la dichiarazione universale dei diritti naturali dell’individuo, diritti inviolabili la cui affermazione scritta ha determinato una diversa e nuova concezione dell’essere umano.
Non è un caso se i tre principali documenti a tutela delle libertà dell’uomo e del cittadino siano figli di tre momenti delicatissimi per la storia della civiltà. Lo scrivente si riferisce, stricto sensu, alle diverse epoche della Rivoluzione Francese(1789), del secondo anno della presidenza di George Washington(1791) e degli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale, a quel 1948 che vide la redazione della celeberrima Dichiarazione universale dei diritti umani, anche nota come Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, un documento sui diritti della persona, adottato dall’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite nella sua terza sessione, il 10 dicembre 1948 a Parigi con una risoluzione. Figlia della neonata organizzazione dell’ONU e del secondo dopoguerra, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo fu un monito che nacque come reazione stessa agli orrori di quella guerra terminata tre anni prima con la sconfitta della Germania nazista e del Giappone di Hirohito. Ma a tale documento universale non si sarebbe arrivati solo attraverso il percorso dolente e tragico dell’ultima guerra mondiale, con tutti i suoi lutti e sconvolgimenti, senza che prima di esso, altre epoche avessero partorito, per reazione o rivoluzione sociale, altre due Carte redatte per segnare le libertà, i diritti e la posizione politica dell’uomo e del cittadino. Non ci sarebbe stata la Dichiarazione del 1948 senza il Bill of Rights americano del 1791, quest’ultimo non ci sarebbe stato senza la grande Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino emersa come un fuoco purificatore nei primi mesi della Rivoluzione Francese: il 26 agosto del 1789, più di un mese dopo la presa della Bastiglia(14 luglio 1789). Quest’ultimo è il documento-padre dei successivi: assieme al Bill of Rights statunitense è la base su cui si fonda la Dichiarazione Universale dei diritti umani emanata dalle Nazioni Unite negli anni post – bellici.
La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino nasce nel vortice iniziale della Rivoluzione borghese francese. Questa Carta, che costituisce il fondamento dei regimi liberali moderni, contiene i c.d. “Principi dell’89” e fu deliberata dall’Assemblea Nazionale Costituente della Francia rivoluzionaria. Vi si dichiarano principi fondamentali, importanti per comprendere più a fondo, pur senza nulla sottrarre alle dichiarazioni successive, l’evoluzione illuministica che cambiò l’Europa tra la fine del XVIII secolo e il principio del XIX. Vi si dichiara, ad esempio, che gli uomini nascono e vivono liberi e uguali nei diritti e che le distinzioni sociali possono essere fondate solo sulla utilità comune(art.1); che il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo: tali diritti vengono individuati con precisione: libertà, proprietà, sicurezza e resistenza all’oppressione. Capitale e propedeutico ai regimi democratici moderni è l’art 3 secondo cui la sovranità risiede nella Nazione, dalla quale emanano ogni potestà e ogni ufficio. Rilevante e non privo di significati anche sostanziali sul concetto astratto e concreto di libertà è l’art 4 che definisce cosa è la libertà e quali sono i suoi limiti. Secondo la Carta dell’89 la libertà è il potere di fare tutto ciò che non nuoce agli altri e che il limite dei diritti naturali dell’uomo è la coesistenza di diritti naturali degli altri membri della società, tutto in conformità della legge. E’ lecito tutto ciò che non è proibito dalla legge e questa proibisce le azioni nocive alla società. La Carta continua inesorabile l’elenco dei diritti, dando una dimostrazione concreta che i principi in essa espressi furono quelle basi delle costituzioni moderne, basi gettate nell’epoca rivoluzionaria europea che segnò il passaggio dalla modernità alla contemporaneità. E’ la Carta dell’89 ad affermare che “la legge, uguale per tutti nel tutelare e nel reprimere, è l’espressione della volontà generale , alla cui formazione tutti concorrono(art. 6).
Questo documento, pur con le sue immancabili imperfezioni e sbrigatività, rimane uno fra i più notevoli nella storia politica del mondo. Se è vero che in buona parte questa Carta è anche una traduzione ex post delle Costituzioni americane, possiede tuttavia un’intrinseca e sostanziale originalità e vitalità, in quanto sanziona nell’ordine storico quei principi che il giusnaturalismo illuministico e contrattualistico avevano proclamato nella dottrina. Che vi sia dell’eclettismo non c’è dubbio perché pure nel seno degli indirizzi illuministici vi sono stati elementi che tra loro si contraddicono come l’esistenza dei diritti naturali con la sovranità popolare di Rousseau, entrambe richiamate nel documento. Al di là di questo, la Carta conserva un inestimabile valore storico, in quanto riassume e dà corpo a tutta una concezione della vita che ha dominato e in parte domina ancor oggi il mondo: l’individualismo.
L’astrazione, considerata caratteristica del documento, è solo parziale e relativa: in realtà ogni dichiarazione, ogni articolo è denso di esperienza storica, politica, sociale tant’è, come ha acutamente rilevato il filosofo e politologo Guido De Ruggiero(1888 – 1948), si parla di liberta di discussione, espressione ecc. ma non si parla di libertà di associazione, perché i delegati avevano ben presenti le aborrite Corporazioni medioevali, contro cui la Francia rivoluzionaria stava lottando. Ma è sempre vero che dall’astrattismo illuminista derivano i principi sui cui il documento si fonda. Il punto manchevole della Carta, se lo si vuole scovare e rilevare, sta invece là dove parla della proprietà. E invero, l’agnosticismo rivoluzionario francese verso questo istituto così capitale per l’affermarsi della dignità umana nel consorzio civile, non fece che sanzionare una differenza sociale sulle ricchezze; mentre il tacito divieto di associazione, già richiamato e che ebbe l’obiettivo di impedire al Quarto Stato , che ha fatto la Rivoluzione, di coalizzarsi per reclamare i propri diritti, mise quest’ultimo in uno stato di inferiorità.
Nonostante le indicate mancanze verso il Quarto Stato, la Carta del 1789 ha segnato un punto di non ritorno nell’affermazione di quei principi dello Stato liberale i quali, ponendo l’uomo al centro dello Stato e la sua volontà come origine del potere statale, svilupparono in seguito gli Stati moderni, sigillando il principio della sovranità popolare, che tutte le costituzioni europee moderne, compresa la nostra del 1948 (art 1), hanno posto a base sovrana della propria ossatura.