Le incredibili metamorfosi di Donald Trump in Polonia, dove ha venduto i missili Patriot

di Dario Rivolta * –

In un bel film di Woody Allen, Zelig, il protagonista si trasformava ogni volta che incontrava nuove persone e diventava come loro, assumendone aspetto e comportamenti. Guardando come si è comportato il presidente Usa Donald Trump in Arabia Saudita e, adesso, in Polonia, verrebbe la tentazione di pensare ci si trovi di fronte ad un fenomeno simile. A Riad ha detto tutto quanto poteva piacere ai sauditi e a Varsavia ha fatto la stessa cosa con i polacchi.
La realtà però è ben diversa e conferma invece che il presidente statunitense sa bene quello che fa e segue un filo logico non difficile da identificare. Innanzitutto non va dimenticato che è un businessman e che promise ai lavoratori americani che avrebbe rilanciato le produzioni delle imprese locali. Non a caso ha focalizzato sul prodotto americano più vendibile: le armi. In Arabia Saudita ha firmato contratti per centinaia di miliardi di dollari e in Polonia ha venduto missili Patriot di ultima generazione per 7,6 miliardi. Anche la posizione da lui assunta sugli accordi di Parigi, di là da ogni considerazione sulla discutibile attendibilità di quale sia la vera causa dei cambiamenti climatici, non prescinde per nulla dal fatto che gli americani siano diventati autosufficienti in gas e petrolio e abbiano cominciato perfino a esportarne. Anche a Varsavia si è annunciata la firma di un accordo per la vendita di gas americano liquefatto cosa che dovrebbe “ridurre la dipendenza (polacca) dalle importazioni dalla Russia”.
Anche per le sue parole contro la Russia, particolarmente benvenute nel luogo in cui sono state pronunciate, si può trovare una facile spiegazione. Anzi, probabilmente due. La prima è che la Polonia è un Paese membro dell’Unione e della Nato ma, mentre rispetta del tutto i requisiti della seconda (la spesa del due percento del PIL), è critico (e criticato) verso la prima. Soprattutto dopo la caduta del pericolo sovietico, un’Unione Europea unita ma debole e inefficiente è sempre stata l’obiettivo delle amministrazioni americane e i rapporti bilaterali sono preferiti a quelli con un’entità la cui dimensione e forza economica renderebbero meno “pesante” il potere negoziale di Washington. Rassicurare quindi una Varsavia preda di psicanalitiche fobie anti-russe fa gioco nel rinsaldare i legami con quel Paese che è, in aggiunta alla Gran Bretagna, molto più filo-americano che filo-europeo.
Come seconda ragione, non vanno dimenticati gli attacchi che gli sono rivolti in patria per un suo presunto legame privilegiato con il presidente russo Vladimir Putin. L’obiettivo cui puntano i suoi innumerevoli avversari domestici è il suo impeachment con l’accusa di aver mantenuto e di mantenere, direttamente o tramite terzi, un rapporto con il “nemico” russo. E’ comprensibile perciò che faccia di tutto per dimostrare quanto la sua presunta “amicizia” con Mosca sia assolutamente falsa e come non abbia alcuna intenzione di “fare sconti o favori” al Cremlino. Trump è perfino arrivato ad ammettere, pubblicamente e per la prima volta, che “sia stata la Russia ad aver interferito con le elezioni del 2016” anche se, ha aggiunto “nessuno lo sa veramente” poiché potrebbero essere state anche “altre persone in altri Paesi” (allusione al sostegno saudita alla Clinton?). Per compiacere i locali e i falchi del “suo” Congresso ha parlato anche di “comportamenti aggressivi e destabilizzanti della Russia” in Medio Oriente e in Europa Orientale e ha invitato Mosca a cessare il sostegno ai combattenti del Donbass e ai regimi di Damasco e Tehran.
Che la Russia sia una forza aggressiva, destabilizzante e responsabile di molte delle crisi che accadono oggi nel mondo, è ormai un leitmotiv che riempie le bocche di molti politici occidentali e i titoli dei giornali più “disciplinati”. Che la Crimea appartenga all’Ucraina e che a essa vada restituita viene ripetuto come un mantra da vari capi di stato europei, tra cui il neo eletto Emmanuel Macron e, più modestamente, il nostro ministrino degli Esteri Angelino Alfano. Peccato che, poiché tutti sanno che mai e poi mai Mosca accetterà di cedere un territorio che culturalmente e storicamente gli appartiene (oltre alla valenza strategica che riveste per la sua marina militare), nessuno aggiunga ai propri elettori che l’unico modo per ridare la Crimea a Kiev sia di dichiarare guerra alla Russia, magari sperando di vincerla.
Il Senato americano comunque qualcosa ha fatto per accertarsi che Trump non abbia la tentazione di “migliorare i rapporti con Mosca”, come aveva invece annunciato in campagna elettorale. Il 15 giugno scorso è stata approvata a larghissima maggioranza una nuova serie di sanzioni contro la Russia che prevedono non solo di escludere ogni tipo di collaborazione o finanziamento a società russe nel settore dell’energia ma anche a quelle che sono coinvolte nell’esportazione di gas o petrolio. Ciò varrà anche per le società europee a qualunque titolo coinvolte: quelle che collaboreranno con le imprese sotto sanzione saranno impedite dal lavorare anche negli Stati Uniti.
Poiché la cosa tocca, guarda caso, anche il progetto di North Stream 2 e quindi: la francese Engie, la Royal Dutch Shell, l’austriaca OMV e le tedesche Uniper e Wintershall più altri subappaltatori, i Governi tedesco e austriaco hanno subito protestato “…non possiamo accettare la minaccia di sanzioni illegali ed extraterritoriali contro società europee…il rifornimento di energia per l’Europa è una questione europea e non degli Stati Uniti d’America…”. Tuttavia…
Il provvedimento approvato non si limita alla Russia ma, per rendere più difficile una possibile opposizione di Trump, prevede uguali sanzioni contro l’Iran per il “suo continuo supporto al terrorismo”.
Altri provvedimenti approvati sono stati formulati in modo che eventuali decisioni di modificare o ridurre le sanzioni decise dal Parlamento americano non possano essere decise dal solo Presidente senza che ci sia l’accordo del Congresso. Il cerchio si chiude. E tutto (o quasi) si spiega.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.