di Dario Rivolta * –
In molte università esiste una disciplina denominata Scienze Politiche. Il termine “scienza” non deve però trarre in inganno. Come ne scrisse Popper a proposito, “L’osservazione non è mai neutra, ma è sempre intrisa di teoria, al punto che risulta impossibile distinguere i fatti dalle opinioni” Ne consegue il carattere meramente congetturale, e quindi fallibile, delle cosiddette “scienze”.
Anche nello studio della politica internazionale vale quanto sopra: si possono evocare scenari, fare ipotesi ma solo un mago potrebbe dire con (presunta) sicurezza come saranno i rapporti tra Stati domani o dopodomani. Per gli economisti e per gli analisti politici le variabili sono talmente numerose e così intrecciate tra loro che ciò che si può ipotizzare non è niente più di una probabilità. Chi afferma il contrario semplicemente millanta.
Ho voluto fare questa doverosa premessa per confermare che quanto segue non deve essere inteso come una “visione” dal valore apodittico, bensì come una delle tante ipotesi che si possono avanzare per il dopo della guerra in Ucraina. Naturalmente si tratta di un’esposizione molto sintetica poiché il giusto approfondimento richiederebbe molte più pagine di quelle qui disponibili.
Ebbene, partendo dal fatto che siamo italiani, e quindi europei, e che dovremmo preoccuparci per il benessere futuro dei nostri discendenti connazionali, quel che personalmente vedo per i prossimi anni del nostro continente non mi sembra affatto roseo.
La decisione, a mio avviso sciagurata, di esserci lasciati trascinare in una lunga ostilità contro la Russia sta già mettendo a rischio la competitività delle nostre imprese nel mercato internazionale a causa del costo cresciuto dell’energia, ma il contemporaneo provvedimento preso dai “soloni” della Commissione Europea di voler rinunciare entro il 2035 all’utilizzo di carbone e idrocarburi ha contribuito all’innalzamento del loro prezzo, avendo infatti scoraggiato tutti i nuovi investimenti nel settore.
Su quest’ultimo punto non voglio discutere la decisione in sé, bensì i tempi stretti previsti mentre il resto del mondo economicamente importante ha fatto scelte diverse e ben più ponderate.
Tutti sanno che, fino ad oggi e per il prossimo futuro, la fonte di energia più a buon mercato è il gas che arriva in Europa via condotte terrestri dalla Russia. Aver annunciato che la nostra politica è quella di ridurre a zero tale forniture ha contribuito a far innalzare il prezzo di vendita offerto dai venditori alternativi. Così è per il gas in arrivo dall’Algeria, dalla Norvegia, dalla Libia e dall’Azerbaigian. Senza parlare del gas liquefatto. Quest’ultimo è già più costoso (e di molto) di per sé e, inoltre, la volontà europea di rinunciare a contratti di lungo termine per l’acquisto di gas (visto che lo si dovrebbe sostituire con non si sa cosa) ha spinto Paesi come il Qatar a privilegiare contratti con la Cina che si è impegnata a comprarne per 55 anni. Di conseguenza, da quella fonte nemmeno ce n’è più di disponibile per noi, salvo le eventuali eccedenze.
Tuttora è ancora in corso una guerra brutale in Ucraina, guerra che la Russia non potrà permettersi di perdere. Cosa succederà se, come e quando, questa guerra finirà? La brutta realtà è che, comunque si chiuda, per l’Europa sarà una totale sconfitta.
Se, come è probabile, il governo ucraino dovrà cedere a una pace che confermi che la Crimea è e resterà russa, che il Donbass verrà riconosciuto come parte della Federazione e che l’Europa dovrà farsi carico dei costi della maggior parte della ricostruzione di quel Paese, è facile immaginare le conseguenze che dovranno sopportare i contribuenti europei.
Tuttavia, questa soluzione non è nemmeno il peggio che potrebbe capitarci.
Se, al contrario, a Mosca ci fosse un cambiamento di regime e la Russia fosse costretta ad interrompere le ostilità, il Paese diventerebbe oggetto di forti turbolenze interne che potrebbero durare per anni. Si apriranno nuovi spazi per l’espansione della Cina e la Siberia diventerebbe terra di conquista per multinazionali affamate di materie prime. Non saranno le aziende europee a guadagnarci, tuttavia: saranno quelle americane e cinesi poiché, visti i rapporti di forza, i primi si ergeranno quali i reali vincitori di questa guerra e i secondi continueranno nella silenziosa invasione già in corso e faranno di tutto per garantirsi la continuità delle forniture di gas e petrolio, così indispensabili per loro.
Restiamo tuttavia sulla possibilità che sia la Russia a imporre le condizioni della pace. In questo caso non sarà facile farle dimenticare quale atteggiamento i Paesi europei tennero durante il conflitto.
Nel frattempo all’interno dell’Unione cresceranno le tensioni nazionalistiche poiché ogni governo nazionale cercherà di minimizzare le conseguenze di una crisi economica che andrà crescendo. Un segnale in questa direzione lo si è visto con lo stolido tentativo di voler imporre un “Cap price” per l’acquisto di gas via tubo. Germania, Olanda e “l’esterna” Norvegia si sono opposti, cercando in tal modo di salvaguardare (alcuni di loro) benefici ricavati dai prezzi attuali e (altri) pensando alle conseguenze possibili. Era ovvio che questa misura avesse come unico obiettivo proprio la Russia e la Germania, saggiamente, ha capito che la cosa non avrebbe funzionato e che una porta verso Mosca dovesse non chiudersi totalmente e per sempre. Sarà proprio la Germania, dopo la guerra, il primo Paese che cercherà di riallacciare qualche rapporto con la Russia e, seppur non troverà più i tappeti rossi, un qualche spiraglio per lei si aprirà. Non sarà così per gli altri europei e ciò contribuirà ulteriormente al peggioramento degli interessi contrapposti tra i membri dell’Unione.
Nel dopoguerra, tutti i Paesi dell’Unione si troveranno senza armamenti avendone “donati” la maggior parte al governo di Kiev (e una certa quantità, seppur involontariamente, a loschi trafficanti d’armi e delinquenti). Per un numero imprecisato degli anni seguenti e ancora più che nel passato, solo un Paese sarà in grado di garantire la nostra difesa: gli Stati Uniti. Occorre allora domandarci cosa esigeranno in cambio più di quello che già stanno prendendo dal dopoguerra ad oggi. La loro egemonia diventerà asfissiante? Anche per la fornitura di GNL saranno gli USA e i loro produttori (privati) a dettare le condizioni per i nostri rifornimenti e ciò sempre che il prezzo offerto in Oriente non sia più alto di quello che l’Europa potrà pagare. I nostri rapporti economici con la Russia saranno fortemente ridotti e potremo dimenticarci di quel mercato a favore di quei fornitori che, nel frattempo, hanno sostituito le nostre aziende. Qualcuno in Occidente si è dato molto da fare nei mesi passati nel sostenere che riducendo l’acquisto di gas e petrolio russi ciò avrebbe tolto a Mosca la linfa economica vitale che le serve per finanziare la guerra. Politici americani pseudo esperti (e qualche think-tank) auspicavano anche che colpire la Russia con sanzioni come mai se ne erano viste avrebbe messo in ginocchio la sua economia, magari provocando un cambio di regime e, perché no?, una sua futura (e benvenuta) dissoluzione come successe per l’Unione Sovietica. Purtroppo, nulla di tutto questo si è verificato: quel Paese sta sicuramente soffrendo, ma sia l’inflazione che la perdita di PIL sono molto al di sotto di quanto sperato (ferma a una cifra la prima e sotto il 3 percento la seconda, più o meno come nella maggior parte del mondo occidentale). Molti dei prodotti prima importati sono adesso fabbricati localmente e le restanti importazioni arrivano da Paesi a noi concorrenti. Quanto alla riduzione nella sua vendita di petrolio e gas, un’altra delusione. Il commercio del suo oro nero a livello internazionale è perfino cresciuto e la fornitura di gas si sta orientando sempre più verso l’Asia, compensando così del tutto la riduzione delle consegne verso l’Europa. Fortunatamente per noi, seppur solo per ora, la conversione delle destinazioni non è ancora completa e ci vorrà un certo tempo prima che lo diventi. In effetti, checché se ne dica, noi non siamo in grado, e non lo saremo per diversi anni ancora, di rinunciare completamente al gas russo e ciò fino a che i russi continueranno ad inviarcelo. Nonostante dichiarazioni roboanti e rassicuranti dei politici europei, le fonti alternative non sono certo sufficienti né per i costi né per la quantità a far fronte a tutti i nostri bisogni energetici.
Il Paese più popoloso del mondo sta diventando l’India e da Dehli, in barba alle pressioni americane, l’acquisto di petrolio e gas dalla Russia è cresciuto in modo esponenziale. Questa nuova situazione di dipendenza energetica dell’India dalla Russia non potrà non avere effetti geopolitici e a Mosca si guarda a questa prospettiva come un positivo bilanciamento contro la evidente invadenza della Cina.
Cina che, in funzione anti-occidentale e nonostante la vecchia inimicizia con Mosca, sta stringendo maggiori legami con il più grande vicino fornendogli quelle tecnologie e quei fondi finanziari che non arrivano più dall’Occidente. I loro scambi hanno abbandonato il dollaro come valuta di riferimento e avvengono in Yuan e rubli. I cinesi hanno anche creato un sistema di pagamenti bancari alternativo allo SWIFT (controllato dagli americani) e stanno spingendo sempre più Paesi ad adottarlo.
Il rapporto degli USA con la Cina difficilmente arriverà a uno scontro diretto ed esiste una maggiore probabilità che, prima o poi, i due trovino un accomodamento che garantisca la loro coesistenza, così come avvenne nel rapporto con l’URSS. Si divideranno le aree di influenza e chi farà le spese della loro possibile intesa sarà l’Europa, oramai in via di de-industrializzazione e totalmente indifesa. Il nostro impoverimento andrà accentuandosi e ciò creerà maggiori instabilità interne sia per la crisi economica, sia per la crescente presenza di un maggior numero di immigrati abusivi, sempre meno integrabili e integrati.
* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.