di Giuseppe Gagliano –
Riunione ieri a Baghdad dei ministri degli Esteri della Lega Araba, in preparazione del vertice che si sta tenendo oggi nella capitale irachena. Al centro del tavolo dei ministro, come una ferita aperta, c’è stata la guerra di Israele a Gaza. Non solo una questione di cronaca: è il simbolo di un conflitto che, come ha detto il segretario generale della Lega Araba, Ahmed Aboul Gheit, “non si limita alla Palestina, ma minaccia di inghiottire Siria e Libano”. Le sue parole, dure e senza filtri, sono un monito a chi ancora crede che il problema sia circoscritto. Poi c’è la Siria, un puzzle geopolitico dove il dopo al-Assad è un’incognita che spaventa e affascina. E il Libano, che cerca di rialzarsi dalle macerie, fisiche e politiche, di anni di crisi. A questi si aggiungono Yemen, Sudan, Libia: nomi che evocano sofferenze, ma anche la necessità di risposte concrete.
L’Iraq, con il ministro degli Esteri Fuad Hussein a fare gli onori di casa, non si è limitato a ospitare. Sul tavolo ci sono state idee ambiziose: un Centro arabo per il controterrorismo, un altro per la lotta alla droga, un terzo per contrastare il crimine organizzato. E ancora, una Cellula di coordinamento per la sicurezza e un Fondo per la ricostruzione degli Stati in crisi. Progetti che, se realizzati, potrebbero cambiare il volto della cooperazione regionale. Ma il condizionale è d’obbligo: il mondo arabo, diviso tra ambizioni comuni e interessi nazionali, ha spesso visto i suoi sogni infrangersi contro la realtà.
Non tutti i leader sino invece presenti al vertice di oggi. La sedia del presidente siriano Ahmad al-Sharaa, per esempio, è restata vuota. Una scelta che riflette le tensioni interne all’Iraq, dove le fazioni filo-iraniane non hanno gradito l’invito. Anche altri Paesi, per ragioni politiche o strategiche, hanno optato per delegazioni di livello inferiore. Eppure, come ha detto il portavoce del governo iracheno Basem al-Awadi, la partecipazione si presenta “onorevole”. Traduzione: Baghdad fa di tutto per non sfigurare, anche se il rischio di un vertice più simbolico che fattivo è dietro l’angolo.
Tra gli ospiti di peso Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, Hissein Brahim Taha, dell’Organizzazione della cooperazione islamica, persino il premier spagnolo Pedro Sanchez. La loro presenza è un segnale, ma anche una pressione. Il Medio Oriente non è solo un problema arabo: è un nodo gordiano che coinvolge potenze globali, interessi economici, equilibri fragili. E l’Iraq, che conosce bene il prezzo del caos, lo sa meglio di chiunque altro.