L’egoismo della Merkel rischia di portare alla fine del sogno europeo

di Dario Rivolta *

Tutti conosciamo i nomi dei Padri fondatori dell’Europa ed è una lista di nomi che onoriamo. Un’altra lista però si sta preparando ed è quella di chi quel progetto sta facendo fallire. In cima a tutti questi ultimi c’è oggi una donna: la cancelliera tedesca Angela Merkel.
Il “politically correct” non vorrebbe mai che lo si dicesse e tende a nascondere le sue responsabilità, ma se l’Unione Europea gode di sempre meno popolarità e corre il rischio di dissolversi in una marea di nazionalismi di ritorno, le sue colpe sono enormi.
Certamente non sarà la sola in quel nuovo elenco, perché la mediocre classe politica che da almeno trent’anni guida i vari Paesi membri ha contribuito non poco al decadere di quello che continua a essere la sola speranza di mantenimento del benessere raggiunto nel nostro Continente.
Tra i numerosi imputabili, però, è proprio lei il politico che la storia futura ricorderà come il più colpevole di tutti. La Germania è il Paese più importante del nostro continente, sia sotto l’aspetto economico sia per il numero di abitanti, e per questo motivo è da sempre un solido punto di riferimento per ogni politica europea. Nel corso degli anni passati ha espresso uomini di altissimo valore quali Adenauer, Brandt, Kohl e, in particolar modo quel grandissimo uomo di Stato che è stato Helmut Schmidt. Tutti costoro han saputo governare sulla base di loro progetti lungimiranti e, anche quando il loro cammino poteva essere impopolare sul breve termine, il loro carisma ha convinto la gente a seguirli comunque.
Purtroppo questa capacità di non cedere alla demagogia e di guardare lontano non rientra nelle caratteristiche della signora Merkel. La Cancelliera non ha mai avuto il coraggio di scelte contrarie agli umori egoistici del tedesco medio e quando ha provato a farlo, come nel caso degli immigrati, si è arrampicata sugli specchi precipitandosi presto a fare marcia indietro.
La globalizzazione imperante (che non è solo frutto del liberismo economico, ma è anche dovuta alla velocità con cui circolano persone e informazioni) obbliga a economie di scala che, uniche, consentono di contare sulla scena internazionale. Nessun Paese europeo preso a se stesso è in grado di poter dialogare alla pari con i giganti del mondo quali gli Stati Uniti, la Cina, la Russia, l’India e solamente un’unica voce in politica estera, un’unica difesa, un unico sistema economico possono garantirci di essere ascoltati, rispettati e, se necessario, temuti.
L’Europa di oggi, al contrario, si sta incamminando perfino verso la distruzione di quello stesso Mercato comune da cui tutto ebbe inizio.
Che cosa imputiamo alla signora Merkel? Tante azioni che le sono sì servite per garantirsi la tenuta del potere interno, ma che hanno contribuito ad aumentare presso tutti i popoli europei sentimenti sempre più ostili all’Unione. Un evidente esempio è la politica di austerità imposta ai Paesi latini e il suo vice cancelliere, Sigmar Gabriel, ha dichiarato che “Ho chiesto alla cancelliera cosa costerà di più alla Germania, se la Francia aumenta il deficit di mezzo punto o se Marine Le Pen diventerà presidente”.
Un altro caso in cui Merkel ha dimostrato un puro egoismo demagogico e corto-vedente è come ha trattato la crisi greca.
Gli ellenici avevano grandi responsabilità per il disastro finanziario in cui si sono trovati, ma non possono essere dimenticate le complicità di banche francesi e tedesche che generosamente finanziavano i consumi locali pur conoscendone l’insostenibilità. Se si fosse intervenuti subito, all’inizio della crisi (e un accordo in questo senso tra Germania, Francia, Italia e Gran Bretagna avrebbe potuto essere possibile), il fuoco sarebbe stato facilmente domabile. Invece Germania e Francia pensarono solamente a come recuperare i crediti delle proprie banche e, in un secondo momento, Berlino arrivò perfino a condizionare la concessione di altri prestiti in cambio della vendita a società tedesche di tutti gli aeroporti turistici greci e alla conferma dell’acquisto di mezzi militari tedeschi concordati dai precedenti governi greci.
Una seconda decisione della cancelliera che ha contribuito ad alimentare sentimenti di rigetto anti-europeo tra i popoli è stata la sua sciagurata politica dell’immigrazione. Viene quasi rabbia solo a ricordarlo, ma quando, agevolati dal governo turco, centinaia di migliaia di profughi cominciarono a sbarcare sulle coste greche, annunciò senza interpellare gli altri Stati membri che la Germania avrebbe accolto soltanto i siriani. Naturalmente, contava sul fatto di ricevere un popolo tendenzialmente laico e con un grado medio di preparazione scolastica superiore. Il risultato fu che tutti, da qualunque Paese venissero, cercarono si spacciarsi per siriani e gli sbarchi in Grecia aumentarono.
I Balcani furono invasi da orde di migranti che volevano arrivare in Germania… ma lei cosa fece? Alle prime proteste, soprattutto bavaresi, fece chiudere le proprie frontiere lasciando centinaia di migliaia di disperati vagare nei Paesi di transito. Lo spregiudicato presidente turco Recep Tayyp Erdogan capì la debolezza europea e lanciò un ricatto che la Merkel, spaventata dal calante consenso in patria, si precipitò a sottoscrivere obbligando tutti gli altri Paesi europei a condividere l’“erogazione” di miliardi di euro alla Turchia. Ovviamente, con la chiusura delle frontiere balcaniche, aumentarono gli arrivi verso l’Italia ma, poiché Svizzera, Austria e Francia avevano anch’essi sigillato i propri confini, il problema si scaricò tutto su di noi.
Un’altra dimostrazione di meschino egoismo lo si è visto in merito al dossier Ucraina.
E’ ormai accertato che la signora Merkel e il suo partito furono tra coloro che, assieme ad americani, inglesi e polacchi, fomentarono e nutrirono i disordini di Maidan. Mentre il disegno americano e polacco era quello di “contenere” la Russia, lei pensava a una nuova area di egemonia economica, esattamente come la Germania aveva fatto con l’ingresso nell’Unione Europea dei Paesi dell’Europa centro orientale. Quando furono lanciate le sanzioni contro la Russia, Berlino fu tra i primi ad approvarle. Salvo che, mentre gli altri Paesi furono obbligati a rispettarle totalmente, i tedeschi davano il via libera al raddoppio del North Stream e molte aziende teutoniche, con la finta cecità del loro governo, continuarono a investire e vendere nel Paese sanzionato. Anche recentemente, in cambio dell’appoggio avuto da Obama (e forse sotto il ricatto americano di sanzioni molto onerose alla Volkswagen per la truffa sui falsi valori delle emissioni inquinanti) è stata proprio la cancelliera ad aver costretto gli altri europei ad accelerare, all’inizio di dicembre, il rinnovo immediato delle sanzioni previste scadere solo il 31 di gennaio.
Dove però la Merkel sta dimostrando un totale egoismo a breve termine è la questione dell’euro. Tale moneta fu fortemente voluta da Mitterand, illuso che una moneta unica avrebbe “temperato” la potenza tedesca dopo l’avvenuta riunificazione. Come oggi si può costatare, fu un grave errore e qualche economista coraggioso, tra i quali il nostro Antonio Martino, dissero fin d’allora che una sola moneta senza le contemporanee unità politica e fiscale sarebbe stata un fallimento. Purtroppo, furono accusati di “euroscetticismo” e ciò bastò per non prendere in considerazione le loro osservazioni.
Con lo scoppiare della crisi economica internazionale, lo sbaglio fatto si mostrò in tutta evidenza. A causa della mancata rivalutazione della moneta teutonica, cosa che sarebbe stata automatica a causa del diverso andamento delle economie interne, le aziende francesi e italiane persero man mano competitività con quelle tedesche e le nostre piccole e medie imprese cominciarono a soffrire. In Italia il prodotto nazionale pro capite si è ridotto del 10 % tra il 2008 e il 2016 e, considerando che nel 1999 era del 20% superiore alla media dell’area euro, oggi si trova il 20% sotto la stessa media. La disoccupazione in Italia è al 12%, in Germania al 4%.
Nel frattempo Berlino, come un cane da guardia, vigila che nessun Paese superi il tre per cento del debito pubblico. Tuttavia a Maastricht si decise anche che la soglia del tre percento non dovesse essere superata nemmeno come attivo e l’eventuale eccedenza dovesse essere utilizzata per aumentare la spesa pubblica, favorendo così le economie dei Paesi membri che avrebbero potuto aumentare le loro esportazioni verso i Paesi più ricchi. Peccato che di questo la Germania se ne infischi e lascia che la propria eccedenza arrivi al 7 % senza spenderla, rinunciando in questo modo a diventare traino per gli altri.
Come se ciò non bastasse, oggi qualche “Solone” tedesco arriva a sostenere che i Paesi “deboli” dovrebbero abbandonare la moneta unica per tornare alle valute nazionali. Mentre non è escluso che malauguratamente ciò possa avvenire, è evidente che la nostra uscita dall’euro significherebbe il disastro per la classe media a reddito fisso e scatenerebbe subito la speculazione internazionale. Inoltre, la svalutazione della futura lira aumenterà, all’inizio e all’improvviso, la nostra competitività, cos che potrebbe però spingere tutti i Paesi europei concorrenti alla re-introduzione di barriere doganali.
Ben diversa sarebbe la situazione se fosse la Germania a lasciare la valuta comune. Il nuovo marco si rivaluterebbe e gli equilibri competitivi tra di noi tornerebbero a valori più rispondenti alla realtà.
Pochi giorni fa sul Corriere della Sera economisti moderati e certamente non antieuropei come Giorgio la Malfa e Paolo Savona hanno lanciato proprio questa ipotesi aprendo contemporaneamente a una possibile alternativa: che si passi auna soluzione di tassi di cambio fissi seppur con la possibilità di aggiustarli secondo le esigenze, un po’ come fu lo SME. In questo secondo caso l’euro rimarrebbe, ma come semplice moneta di riferimento.
Purtroppo anche le proposte di La Malfa e Savona cadranno nel vuoto e i nuovi nazionalismi continueranno a crescere. La necessità di cambiare qualcosa è sotto gli occhi di tutti e la permanenza delle sofferenze economiche dei Paesi che più sentono la crisi è tale da favorire la costante crescita di partiti e movimenti antieuropeisti.
Kohl una volta disse che non voleva un’Europa tedesca ma auspicava una Germania europea. Persone della sua statura avrebbero avuto la forza anche oggi, come lui fece al momento della parità tra i due “marchi”, di spiegare ai tedeschi quale fosse il loro vero interesse di medio e lungo periodo, anche a costo di qualche sacrificio immediato. La signora Merkel non ne sarebbe all’altezza. Qualche tedesco arriva a chiamarla “mamma”, ma, se proprio la si volesse vedere sotto quella luce, lei è piuttosto quel tipo di genitrice che, seguendo i suggerimenti del primo dottor Spock, lascia fare ai suoi figli quello che vogliono, ignara o incurante delle conseguenze che ne verranno.
Nel prossimo anno la Germania andrà alle elezioni e lei si ricandiderà. Poiché, come tutti i potenti attenti solo al proprio potere personale non ha consentito che nascessero dei veri “delfini”, c’è anche il rischio che possa essere rieletta. Questo evento costituirebbe, probabilmente, la fine del sogno di un’Europa veramente unita e solidale.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.