Lesotho. Sciolto il parlamento e nuove elezioni

di Valentino De Bernardis –

Il voto di sfiducia incassato oltre due settimana fa in parlamento dal primo ministro Pakalitha Mosisili ha solamente posto il sigillo dell’ufficialità ad una crisi politica prolungata, che il Lesotho si trascinava dietro dalle elezioni legislative, senza vincitori e vinti, del 2015.
Per capire come mai si sia giunti alla rottura in parlamento, bisogna però necessariamente fare un passo indietro per capire le dinamiche che si muovono attorno a Maseru, e i personaggi che si muovono dietro le quinte.
Figura storica della vita politica del paese, Mosisili era riuscito a giungere per l’ennesima volta alla guida dell’esecutivo due anni fa, quando il primo ministro uscente Thomas Thabane alla testa dell’All Basotho Congress (ABC), forte di 46 seggi su 120 in parlamento, all’indomani delle elezioni aveva fallito nel tentativo di formare un nuovo governo di coalizione.
L’impresa di cercare i voti in parlamento per formare un nuovo gabinetto riuscì invece a Mosisili ed al suo Democratic Congress (DC), che con soli 47 seggi, riuscì a trovare intese politiche (molte delle quali forzatamente al ribasso) con molti partiti minori, sebbene questo abbia significato la nascita di un esecutivo debole; ostaggio dei voti dei soggetti politici più piccoli. Nella realtà dei fatti impossibilitato a dare vita ad una vera stagione riformista come più volte sperato dagli alleati politico-economico regionali (cioè Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale-SADC).
L’immobilismo di un governo con troppe anime, e il contagio negativo della crisi economica che da Johannesburg si è presto esteso in tutti i “paesi satellite”, sono da ritenersi le due cause principali del voto di sfiducia incassato da Mosisili l’1 marzo.
A questi va poi sommato nella giusta misura una resa dei conti che s è giocata all’interno dello stesso DC. Il partito di maggioranza relativa, diviso al suo interno, ha visto gli scissionisti riuniti nell’Alliance of Democrats (AD) votare con le opposizioni, nella vana speranza di vedere rimpiazzato un loro esponente, molto probabilmente Monyane Moleleki, alla guida di un governo di scopo per giungere poi alla scadenza naturale della legislatura.
Una strategia ben congegnata dall’opposizione, che però non aveva tenuto conto dell’intervento a gamba tesa che si sarebbe apprestato a fare il re Letsie III. Questi difatti nonostante i molteplici appelli giunti da molte parti dell’arco parlamentare di cercare maggioranze alternative che si erano già palesate durante il voto, ha preferito dare seguito alle richieste del primo ministro sfiduciato, e procedere con lo scioglimento del parlamento e portare il paese ad elezioni anticipate il prossimo 3 giugno.
Una decisione fortemente criticata da tutto il blocco delle opposizioni (che oltre all’ABC e all’AD include il Basotho National Party-BNP e il Reformed Congress of Lesotho RCL), definendola una presa di posizione incostituzionale, in quanto non avvenuta seguendo quanto previsto dal normale iter istituzionale descritto nell’articolo 83 della costituzione, che prevede la previa consultazione del re con il Consiglio di Stato prima di sciogliere il parlamento ed indire nuove elezioni.
A motivare il totale diniego delle opposizioni ad elezioni anticipate, anche l’elevato costo che le casse dello stato faticherebbero a sostenere, in completa antitesi agli sforzi sin qui intrapresi per risanare il bilancio, con un debito pubblico stimato dal Fondo Monetario Internazionale al 58,8% del PIL, e una bassa crescita del PIL pari al 3% (senza contare la povertà diffusa e l’elevato tasso di disoccupazione pari al 24% della popolazione attiva).
Qualunque sia la posizione giusta, se quella del re o delle opposizioni, da un punto di osservazione esterno, ad essere certo è solamente il prolungato periodo di instabilità a cui il Lesotho andrà incontro anche dopo il voto di giugno, dato che molto difficilmente esse avranno un esito risolutivo, come già successo nelle due passate tornate elettorali.
Che la situazione politica del paese sia endemicamente difficile non è di certo una novità, come non lo è la polarizzazione dello scontro politico e lo scontro istituzionale, in una storia recente che dall’indipendenza del 1966 ad oggi è stata caratterizzata da guerre civili e tentativi di golpe, l’ultimo dei quali nel 2014, e ci rimane da sperare che questi rimanga realmente l’ultimo in ordine cronologico per molto altro tempo ancora.

@debernardisv
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