L’Europa guarda al gas del Mediterraneo orientale, ma scoppiano le tensioni tra Libano e Israele

di Silvia Boltuc * –

La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ed il primo ministro italiano Mario Draghi sono volati in Israele per discutere di forniture di gas tramite il gasdotto EastMed o sotto forma di gas naturale liquefatto.
Considerando che l’Unione Europea ha emanato un divieto sulla maggior parte delle importazioni di petrolio dalla Russia, von der Leyen ha affermato che il blocco porterà alla cessazione della dipendenza dell’Europa dagli idrocarburi russi entro il 2027.
Nel corso della visita i due leader europei hanno incontrato il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid ed il primo ministro Naftali Bennett. Negli ultimi anni, grazie alla scoperta di giacimenti offshore, da paese importatore Israele si è trasformato in un paese esportatore di gas naturale liquefatto (GNL).
La crisi ucraina e la crescente corsa dell’Europa verso approvvigionamenti energetici alternativi alla Russia rende particolarmente importante la politica israeliana già in atto da diverso tempo di proporsi come hub energetico nel Mediterraneo.
Sullo sfondo di questi importanti incontri si è riaccesa tra Israele e Libano la disputa sui confini marittimi. Il 5 giugno un’unità galleggiante di produzione, stoccaggio e scarico di gas della società israeliana Energean ha raggiunto la zona marittima contesa tra Israele e Libano nel Mediterraneo orientale per esplorazioni nel giacimento di Karish. La reazione del governo di Beirut non si è fatta attendere e Tel Aviv è stata messa in guardia su quella che sarebbe percepita come una “azione aggressiva”, secondo la dichiarazione congiunta del presidente libanese Michel Aoun e del primo ministro uscente Najib Mikati. Israele ha affermato che il campo in questione si trova all’interno della sua zona economica esclusiva, non in acque contese. L’area in questione è di 860 km2 ed è divenuta particolarmente pregevole alla luce delle recenti scoperte di enormi giacimenti di gas.
La disputa si è inserita nei delicati equilibri regionali. Il Libano infatti sta attraversando quello che diversi istituti finanziari hanno decretato come il peggior collasso finanziario del secolo. La crisi libanese, già evidente nell’agosto 2019, è stata ulteriormente esacerbata sia dalla pandemia di Covid-19 che dall’esplosione del porto di Beirut del 2020. Secondo il World Bank Lebanon Economic Monitor (LEM), la depressione del Libano è stata deliberatamente orchestrata dall’élite del paese. La classe dirigente, investita da diversi scandali di corruzione, avrebbe portato grandi capitali fuori dal paese impedendo alle banche di ripagare i propri correntisti.
Recentemente il ministro del Turismo libanese Walid Nassar ha annunciato la previsione di arrivo di 10.000-12.000 libanesi espatriati e turisti al giorno a giugno e che ci saranno circa un milione di turisti che visiteranno il paese durante l’estate. Il settore elettrico in Libano è notoriamente disfunzionale e soffre di carenze di approvvigionamento, e il rischio è che non si riesca a produrre l’energia necessaria per far fronte alla domanda turistica. Durante le interruzioni delle forniture elettriche, i privati e le imprese libanesi si affidano ai generatori a diesel.
In questo contesto la disponibilità di gas sarebbe preziosissima sia per la produzione di energia che per aumentare le entrate nelle casse dello Stato, ma è proprio questa dipendenza dagli idrocarburi che negli ultimi anni è stata sfruttata da Hezbollah per accattivarsi la popolazione locale e cementare il suo potere attraverso forniture di energia provenienti dall’Iran. Il partito ha trasportato più di 1 milione di galloni di diesel in Libano, arginando peraltro l’effetto delle sanzioni statunitensi.
Anche nel caso della disputa marittima Hezbollah sta conducendo la sua strategia. Alla luce della perdita della maggioranza in seguito alle recenti elezioni in Libano, la reazione iniziale all’arrivo della piattaforma israeliana era stata di rimettersi alla decisione del governo libanese centrale. Nei giorni seguenti invece il tono è divenuto più minaccioso, e il 9 giugno il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha affermato che “ciò che Israele perderà in qualsiasi guerra è molto più grande di ciò che perderebbe il Libano”, minacciando che Energean e il suo management “devono assumersi la piena responsabilità d’ora in poi per ciò che potrebbe accadere a questa nave, materialmente e umanamente”, e che “dovrebbero sapere che sono complici di questo attacco e che devono ritirare immediatamente la nave”.
La minaccia ha interessato anche la Grecia, proprietaria della piattaforma. Dietro l’inasprimento delle posizioni di Hezbollah ci potrebbero essere le pressioni di Teheran. La Repubblica Islamica dell’Iran sta infatti utilizzando la minaccia di un conflitto con Israele per fare pressioni e ottenere la sigla del Piano d’Azione Congiunto Globale (PACG). Il PACG sembrava ormai cosa fatta, ma la sua firma si è arrestata in seguito alla mancata rimozione delle Guardie Rivoluzionarie iraniane dalla lista dei gruppi terroristici statunitensi e dalla mancata trasparenza, secondo alcuni, di Teheran riguardo ai suoi impianti nucleari. Va sottolineato come parallelamente ai colloqui di Vienna si sono svolti incontri tra Arabia Saudita e Iran grazie alla mediazione del Sultanato dell’Oman, mentre Israele premeva affinché il patto non venisse sottoscritto.
Il governo libanese ha invitato l’inviato statunitense Amos Hochstein (incaricato dal presidente statunitense Joe Biden) per mediare tra le due parti. Fonti interne al Libano hanno dichiarato a SpecialEurasia che parte della classe politica libanese potrebbe essere pronta a cedere la sovranità marittima sulla zona contesa in cambio della rimozione delle sanzioni imposte su alcuni ministri ritenuti responsabili di corruzione e della crisi economica libanese.
La questione energetica in Israele interessa anche il delicato equilibrio israelo-palestinese. La striscia di Gaza soffre di un deficit cronico di elettricità da più di un decennio: ha una sola centrale elettrica, che funziona con carburante diesel importato e subisce blackout giornalieri tra le otto e le dodici ore.
Con l’approvazione di Israele il Qatar dal 2018 ha periodicamente fornito milioni di dollari in contanti ai governanti di Hamas a Gaza per pagare il carburante per la centrale elettrica della Striscia, finanziare progetti infrastrutturali e fornire aiuti a decine di migliaia di famiglie di Gaza. Nel dicembre 2021 il Qatar, l’Autorità Palestinese e la compagnia elettrica di Gaza hanno firmato un accordo per portare avanti un progetto a lungo termine per fornire gas naturale israeliano alla centrale elettrica. Il Qatar si sarebbe impegnato ad investire 60 milioni di dollari nella posa dell’oleodotto per la cosiddetta iniziativa “Gas for Gaza”, progetto che ha subito una battuta d’arresto in seguito all’acuirsi degli scontri fra Hamas e Israele.
La presidente von der Leyen ed il primo ministro italiano Mario Draghi hanno incontrato anche il primo ministro palestinese Mohammed Shttayeh nella Cisgiordania occupata per parlare dei crescenti disordini che stanno caratterizzando le relazioni fra Israele e Palestina. La visita di Draghi segue quella della presidente del Comitato Permanente per i Diritti Umani della Camera, Laura Boldrini, che si è rivolta al presidente del Consiglio affinché affronti nell’occasione il tema “delle colonie” e della loro illegalità, sancita dal diritto internazionale.
In conclusione la piattaforma arrivata nell’area contesa il 5 giugno è stata costruita appositamente per il giacimento di Karish e secondo Energean dovrebbe fornire gas a Israele entro la fine dell’anno. I contratti per produzione e vendita del gas estratto sarebbero già stati firmati con delle società israeliane, il che concede al Libano poco tempo per impedire il proseguimento delle attività esplorative. La classe politica libanese, troppo presa dall’instabilità interna e dalle difficoltà nel formare un governo, non ha saputo dare la giusta attenzione alla risoluzione della controversia che pure era fondamentale per il paese. Nella zona contesa infatti si trova il Blocco 9 della Zona economica esclusiva libanese e Beirut aveva la chance di effettuare la propria esplorazione di idrocarburi e ridare respiro all’economia nazionale.
Il momento non poteva essere più propizio per Tel Aviv: con il Libano distratto e l’Europa a secco di forniture energetiche, Israele può rilanciare le sue esportazioni e divenire un hub energetico primario nel Mediterraneo. Con la produzione di gas infine Tel Aviv può legare a sé i territori palestinesi rendendoli dipendenti dai propri approvvigionamenti energetici. L’unica minaccia è rappresentata da Hezbollah, che si è proclamato difensore delle risorse di idrocarburi libanesi e ha minacciato Israele sulle conseguenze di quello che viene percepito come un atto ostile. In tal senso, il rischio sarebbe diretto alle infrastrutture di estrazione e ciò rappresenterebbe un problema anche per l’Europa, che vede in Tel Aviv un prezioso partner commerciale per la diversificazione energetica.

* Articolo in mediapartnership con SpecialEurasia.