L’Europa… solo se conviene

di Dario Rivolta *

Chiunque voglia guardare con mente aperta al futuro degli equilibri mondiali non può esimersi dal costatare che, da solo, ogni singolo Stato membro della Ue sarà sempre più destinato all’ininfluenza. Perfino la potente Germania, indiscutibile potenza economica e demografica dell’Europa, non può reggere un confronto alla pari con le grandi potenza con cui si trova, e si troverà, a discutere di comuni regole economiche, di valori politici di riferimento, di guerre e di pace. Ne ha totale consapevolezza la Confindustria tedesca, che lo scorso gennaio ha scritto una lettera pubblica al governo di Berlino e alla Commissione di Bruxelles. Nel documento si faceva presente a entrambi che da quel momento in poi si doveva assolutamente evitare di negoziare alcunché su base bilaterale con la Cina e che era invece indispensabile che l’Europa discutesse con Pechino soltanto con un’unica voce. L’invito non era da sottovalutarsi soprattutto perché proveniva dagli industriali del paese europeo che ostenta il maggior volume di esportazioni verso la Cina e che vanta un deficit pressoché insignificante nella bilancia commerciale bilaterale. Purtroppo non sembra che la richiesta sia stata fatta propria né dalla cancelloera Merkel né, in seguito, dall’”europeista” presidente francese Macron.
La prima si è recata a Pechino lo scorso settembre (per la dodicesima volta) in compagnia (tra altri) dei vertici di Siemens e di Volkswagen e dai resoconti ufficiali non sembra abbia affrontato nessuno dei temi che sarebbero potuti essere messi sul tavolo e che avevano portato l’Europa, nel marzo 2019, a definire la Cina un “rivale sistemico”: libertà di accesso al mercato interno cinese, furto della proprietà intellettuale (cioè brevetti non rispettati), aiuti di Stato che falsano la concorrenza. Pochi giorni fa, ed esattamente il 4 novembre, è stato il turno di Macron che è stato ricevuto come ospite d’onore al China International Import Expo di Shanghai e ne ha approfittato per inaugurare un Pompidou Centre nella stessa città. Anche lui si è presentato con rappresentanti dell’industria francese ed ha intavolato discussioni puramente bilaterali dimenticando tutte le sue arringhe in favore di una maggiore unità d’intenti europea. In compenso sembra abbia sottoscritto ben 40 nuovi accordi commercial-industriali nonostante le francesi Alstom, Carrefour e Auchan, proprio a causa delle difficoltà riscontrate sul mercato interno cinese, stiano per lasciare o ridurre le loro attività in loco.
Qualcuno ricorderà che anche il nostro ministro degli Esteri Di Maio si è recato in visita alla stessa manifestazione ma, nonostante l’indubbio impegno della Farnesina, è ovvio, per molte ragioni, che non vale nemmeno la pena di parlarne. Torniamo a Macron.
Subito dopo il suo insediamento aveva tenuto all’università francese della Sorbona un pregevole discorso in merito alla necessità di dare una spinta al processo di integrazione europea. Aveva sottolineato come l’Europa attuale non fosse né sufficiente né idonea ad affrontare le sfide future che la globalizzazione ci poneva. Le sue parole avevano acceso nuove speranze in tutti gli europeisti che si illusero ci fosse, finalmente, un capo di Stato che sapesse guardare oltre le immediate scadenze elettorali e soprattutto avesse la volontà di farsi promotore di un vero processo di integrazione. Anche in occasione della visita a Parigi del Presidente cinese Xi, l’aver invitato agli incontri anche il pressebte della Commissione Juncker e la Cancelliera Merkel apparve come un segnale che le cose stessero cambiando.
Purtroppo, tutti i suoi altri comportamenti continuano a smentire le sue parole e lasciano credere che fare affidamento su di lui sia stato soltanto un abbaglio.
Di là dai ripetuti discorsi europeistici, niente dimostra che in lui ci sia veramente un progetto sovranazionale. Al contrario, l’impressione che si fa sempre più marcata è che il suo intento non sia la costruzione di un’Unione federale tra pari, bensì che usi la retorica europeista unicamente per affermare una potenziale “guida” francese sul continente. Esattamente ciò che ha sempre fatto la Merkel: ricorrere al concetto europeo quando esso era utile agli immediati interessi della Germania e dimenticarlo subito dopo aver ottenuto ciò che si prefiggeva. Esempi eclatanti sono la storia degli aiuti alla Grecia e il contenzioso con gli Stati Uniti per proteggere le esportazioni tedesche. Quanto alla politica energetica comune, il raddoppio del North Stream contemporaneamente all’opposizione al South Stream e nelle telecomunicazioni, le porte aperte a Huawei nel 5G basterebbero a dimostrarlo. Che la Merkel sia stata una iattura per una visione comune dell’Europa era già assodato, ma proprio il fatto che oggi sia definitivamente incamminata verso la fine della sua (per noi infausta) carriera politica aveva lasciato sperare che la Francia di Macron potesse veramente puntare a diverse relazioni e lanciare un nuovo progetto. Ahimè! Solo un’illusione.
L’atteggiamento solitario che tiene verso l’Africa, i tentativi di estromettere l’influenza italiana in Libia, la strategia perseguita inutilmente in Siria, il tentativo di scavalcare la stessa Germania nei rapporti con Mosca, l’idea di un esercito europeo che parte come una iniziativa del solo Eliseo, le aperture (comunque condivisibili) verso l’Iran, il nessun coordinamento con la Rappresentante per la Politica estera Mogherini, l’ipocrisia sulla questione “flussi migratori” sono tutte cose che fanno pensare più a una attenzione verso le priorità francesi e, magari, a questioni di politica interna che a un atteggiamento che punti a costruire le premesse di una vera unità continentale.
A sua discolpa, occorre confessare che, anche se avesse le migliori intenzioni, gli mancherebbero gli interlocutori. Italia e Spagna sono impegnate in instabili equilibri interni, la Gran Bretagna è occupata con la Brexit, il Governo tedesco è un’”anatra zoppa” e i paesi dell’Est guardano altrove (salvo accaparrarsi i generosi fondi di Bruxelles). Tutti gli altri sono troppo piccoli e irrilevanti per poterci costruire alcunché.
Forse, aveva ragione un mio vecchio Professore di scuola media (purtroppo defunto), il benemerito Giuseppe Coppelli, che sosteneva che nessuna Europa, né unificata né federale, sarebbe mai stata costruita dalla volontà dei Governi nazionali. Soltanto una spinta proveniente direttamente dai popoli li avrebbe obbligati ad abdicare al loro potere in favore di uno sovranazionale. Per spingere in questa direzione fondò il Movimento dei Cavalieri per l’Europa che ottenne presto adesioni in Italia, Francia, Svizzera e Germania. I suoi mezzi erano limitati e piu’ di qualche migliaio di persone non poté mettere insieme.
Oggi, il fallimento dell’obiettivo annunciato dai padri fondatori ha perfino favorito il diffondersi dell’euroscetticismo e dato spazio a nuovi inconcludenti nazionalismi. Tuttavia è proprio per questo che una nuova spinta è necessaria e, se non sarà Macron, c’è solo da sperare che tutta la classe politica attuale sparisca lasciando posto a nuovi “fondatori” che sappiano guardare oltre gli interessi immediati dei loro elettori e puntino a un obiettivo piu’ lungimirante.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.