di Giuseppe Gagliano –
Il dibattito sulla militarizzazione dell’Europa sta assumendo contorni surreali. Da anni la minaccia russa viene agitata come giustificazione per una corsa sfrenata al riarmo. Più ci si allontana dai confini russi, più il tono diventa aggressivo e categorico. I leader europei moltiplicano gli appelli per rafforzare gli arsenali, rilanciare la coscrizione e preparare le società a uno scontro armato con Mosca. Ma dietro questa retorica allarmistica si nascondono realtà strategiche, economiche e sociali molto più complesse.
Alcuni esponenti del Parlamento europeo arrivano persino a evocare la possibilità di confiscare le basi militari americane in Europa per consegnarle a un futuro esercito europeo, nell’ipotesi di un ritiro di Washington dall’Alleanza. Dietro gli slogan, l’Europa rischia di intrappolarsi in una logica di confronto la cui efficacia militare è tutt’altro che dimostrata.
In Germania il volto di questa politica è Friedrich Merz. Il cancelliere spinge per un rafforzamento militare rapido e totale. Tra i progetti in corso figurano un “muro di droni”, l’acquisto di 60 elicotteri Boeing CH-47F Chinook, il dispiegamento di una brigata corazzata in Lituania e un notevole aumento della spesa per la difesa. I crediti di guerra, presentati come inevitabili, non sono accompagnati da una riflessione seria sulla loro sostenibilità economica.
La Bundeswehr soffre di un equipaggiamento obsoleto, carenze logistiche strutturali e un deficit cronico di personale. Il ritorno alla leva obbligatoria è in discussione, ma si scontrerebbe con una forte opposizione sociale: i giovani tedeschi non percepiscono l’esercito come un’opportunità, ma come un’imposizione. Una scelta simile rischierebbe di scatenare una crisi politica interna di vasta portata.
Sul piano convenzionale, i numeri parlano chiaro. Le forze armate europee (esclusi gli Stati Uniti) contano oltre 2 milioni di soldati contro 1,1 milioni per le Forze armate della Federazione Russa. L’Europa dispone di più carri armati, più aerei da combattimento e più artiglieria di Mosca. Tuttavia, questo vantaggio apparente nasconde una fragilità strategica: la dipendenza strutturale dalle dottrine statunitensi e dalla supremazia aerea.
La difesa antiaerea europea è insufficiente contro un esercito russo dotato di sistemi avanzati. E soprattutto, la Russia ha un vantaggio nucleare schiacciante: circa 4.300 testate contro poco più di 500 possedute complessivamente da Francia e Regno Unito. Uno scontro convenzionale con la Russia è quindi poco realistico: Mosca dispone di strumenti di deterrenza tali da rendere velleitaria qualsiasi proiezione offensiva europea.
Questa realtà è ben nota all’interno della Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord. Ex alti ufficiali, come François Lecointre, ricordano che l’Europa non ha né la coerenza strategica né la capacità logistica per sostenere una guerra prolungata contro la Russia. La militarizzazione in atto non ha dunque una funzione realmente operativa: si tratta più di un discorso politico di deterrenza simbolica che di una strategia militare credibile.
Mosca dal canto suo non ha alcun interesse ad aprire un conflitto nucleare nel continente europeo. Le minacce ripetute e la retorica bellicista non cambiano i parametri fondamentali: uno scontro diretto equivarrebbe a una distruzione reciproca e a conseguenze irreversibili per l’Europa.
L’aumento delle spese militari è presentato a Berlino come un dovere morale, un contributo necessario alla difesa della democrazia e dell’Ucraina. In realtà, questa politica genera indebitamento massiccio, pressione di bilancio crescente e sacrifici sociali. Risorse destinate a scuola, sanità e transizione ecologica vengono dirottate verso gli armamenti.
Questa scelta strategica pesa sul futuro economico e sociale del Paese. Un debito militare ha senso solo se inserito in una strategia globale, con obiettivi chiari e meccanismi di controllo severi. Oggi, invece, la Germania finanzia una fuga in avanti securitaria che rischia di indebolire la sua coesione interna.
L’Europa, e in particolare la Germania, si sta infilando in una spirale di militarizzazione che non rafforza né la sicurezza né la stabilità economica. Questa strategia, ispirata a vecchi schemi della guerra fredda, ignora la trasformazione profonda della natura dei conflitti contemporanei: ibridi, tecnologici, economici.
Nel tentativo di costruire un baluardo contro una minaccia in gran parte strumentalizzata, l’Europa rischia di sacrificare il suo modello sociale e la sua autonomia strategica. L’illusione di un esercito europeo onnipotente nasconde, in realtà, l’assenza di una visione geopolitica chiara e duratura.












