Libano. Hariri smentisce il trattenimento coatto, ‘tornerò presto’. Come pedina di Mbs

di Enrico Oliari

Il premier dimissionario del Libano, Saad Hariri, è intervenuto sulla tv libanese Future TV per smentire le notizie di un suo trattenimento forzato in Arabia Saudita, dove lo scorso 4 novembre ha rassegnato in diretta al-Arabiya le sue dimissioni.
Hariri, che nei giorni scorsi è stato ripreso dai media sauditi interloquire con re Salman, con l’emiro degli Emirati Arabi Uniti ad Abi Dhabi e con l’ambasciatore francese Francois Gouyette, ha detto di essere “libero” e che “se domani voglio viaggiare, posso farlo: tornerò in Libano molto presto per avviare le necessarie procedure costituzionali”.
Nonostante le parole di Hariri, i dubbi circa le sue dimissioni continuano a restare. Hariri, che è sunnita e che ha anche la cittadinanza del paese in cui si trova, si era dimesso in diretta tv ma, come il nostro giornale aveva potuto documentare, in modo coercitivo, con la polizia che lo aveva prelevato dall’auto e costretto a leggere un foglio in cui annunciava la volontà di dimettersi, per di più scritto con accento saudita. Era stato poi portato via e rimesso in auto, ripreso da scatti anonimi mentre piangeva.
In Libano le dimissioni di Hariri erano state viste come una costrizione voluta da Mbs, il potente principe ereditario Mohammed bin Salman, il quale non da oggi spinge per un’azione comune di contrasto agli sciiti e alle influenze iraniane in Medio Oriente, si pensi allo Yemen, ovvero all’intervento armato contro i ribelli houthi, alla Siria, cioè al finanziamento degli insorti sunniti (compreso i qaedisti di Jabath Fatah al-Sham, ex al-Nusra), ma anche al Libano, dove gli sciiti di Hezbollah sono una realtà istituzionale, molto scomoda per gli interessi sauditi.
Tant’è che la stampa libanese non ha creduto da subito alle dimissioni di Hariri ed anche il presidente libanese Michel Aoun ha fatto sapere che non accetterà di riconoscere il passo indietro del premier fino a quando non lo avrà incontrato di persona ed avrà rassegnato a lui le dimissioni, come d’altronde prevede la Costituzione. Aoun ha anche osservato che vi sono “oscure circostanze in cui il primo ministro Saad Hariri vive a Riad”, le quali “hanno raggiunto il punto in cui la libertà di Hariri è stata limitata, sono state imposte condizioni per quanto riguarda la sua residenza e i contatti che può avere, anche con i membri della sua famiglia”.
Ora è da vedere in cambio di cosa Hariri abbia scelto di smentire le notizie circa il suo intrattenimento coatto a Riad, ma è certo che la partita si giocherà in Libano, dove Hariri potrebbe riassumere un ruolo chiave, forse la futura presidenza in successione dell’anziano Aoun, ma è certo che ormai rimane una pedina nelle mani di Mbs.
Determinante alla de-escalation della crisi potrebbe essere stata la visita non programmata dello scorso 9 novembre del premier francese Emmanuel Macron in Arabia Saudita, il quale ha incontrato Mbs e lo stesso Hariri proprio per cercare di raffreddare gli animi. Macron aveva costatato da tempo il crescendo dei toni e dei “pareri molto duri” sull’Iran, ma ha ravvisato “l’importanza di parlare con tutti”.
Alla base dell’affaire Hariri vi sarebbe la nomina dell’ambasciatore libanese in Siria, Saad Zakhia, un’iniziativa che di fatto riconosce il governo (sciita) di Damasco. Anche Geagea, leader del Partito delle forze libanesi cristiane, aveva dichiarato che “nonostante la nomina si tratti di una routine, non accetteremo mai che presenti le sue credenziali a Bashar al-Assad”.
A gettare benzina sul fuoco era stato lo scorso 5 novembre un missile balistico, probabilmente uno Scud sovietico modificato, sparato dai ribelli yemeniti houthi sull’Arabia Saudita: il vettore, che era diretto all’aeroporto “Re Khalid” della capitale, era stato intercettato dalla difesa saudita dopo aver sorvolato la città su un’area priva di abitazioni. Della cosa Mbs aveva accusato l’Iran, che avrebbe rifornito del missile gli houthi attraverso gli Hezbollah libanesi.