Libano. La Rivoluzione dei Cedri

A nove anni dalle Primavere arabe i giovani libanesi scendono in piazza.

di Lorenzo Manca

A nove anni di distanza dalla celebre Rivoluzione dei Gelsomini che vide mobilitarsi il popolo tunisino contro la corruzione del governo di Ben Ali, le nuove generazioni libanesi diventano protagoniste indiscusse di una protesta storica che, partendo dall’esperazione sociale, potrebbe segnare uno spartiacque nella storia del Paese dei cedri.
Reduce da una settimana di violenti incendi che hanno causato al Paese danni inestimabili dal punto di vista economico e ambientale, il Libano torna a essere in questi giorni al centro della cronaca in Medio Oriente. A partire dalla sera di giovedì 17 ottobre, infatti, migliaia di giovani libanesi di differente credo religioso ed estrazione sociale, si sono riversati nelle piazze di Beirut e delle altre città per manifestare uniti contro la classe dirigente del Paese. Bersaglio principale dei manifestanti è la figura di Saad Hariri, primo ministro del Libano in carica dal dicembre 2016 e leader del movimento sunnita Tayyar al-Mustaqba (Movimento il Futuro).
Ad accendere la collera è stata la tassa sul servizio di messagistica Whatsapp, per un totale di 6 dollari (5,38 euro) al mese, nonostante lo stato tragga già ingenti profitti dalle tariffe telefoniche nazionali. Questa ennesima imposta, insieme agli aumenti sui carburanti, il pane e il tabacco, ha contribuito ad alimentare a dismisura il carovita della già vacillante economia libanese peraltro pesantemente provata dai numerosi incendi scoppiati nel corso della scorsa settimana. Più di un quarto della popolazione del Paese vivrebbe – secondo una stima ufficiale della Banca mondiale- sotto la soglia di povertà. La classe politica, quasi del tutto immobile dall’epoca della guerra civile terminata nel 1990, è ora oggetto di accusa di corruzione e clientelismo da parte dei giovani manifestanti.

I giovani libanesi in piazza al grido di “Rivoluzione!”.

L’epicentro della manifestazione cominciata lo scorso giovedì, e tuttora in corso, ha luogo nel centro di Beirut, più precisamente nelle piazze dei Martiri e di Riad el-Solh, ambedue ubicate a due passi dalla sede del governo e del Parlamento libanese
La mattina di venerdì 18 ottobre l’aria a Beirut è irrespriabile. Nuvole di fumo nero, causate dai numerosi pneumatici e rifiuti bruciati dai manifestanti, annerisocno il cielo della capitale del Paese dei cedri. È stata la prima notte di manifestazioni a Beirut, e la violenza non è stata risparmiata. Due operai siriani hanno perso la vita a causa di uno dei numerosi incendi dolosi appiccati da alcuni manifestanti e, secondo l’Agenzia Nazionale di Informazione, il numero di feriti sarebbe di circa sessanta persone. Nel contempo migliaia di giovani, di differente credo religioso e ceto sociale, hanno animato le arterie principali della capitale libanese sventolando con orgoglio la bandiera col cedro e alternando le note dell’inno nazionale al grido esasperato di “Rivoluzione!”
La risposta dei militari non ha tardato a manifestarsi. A partire da venerdì mattina i membri dell’esercito in servizio di guardia presso il Palazzo del Parlamento, hanno dapprima cominciato a sparare in aria col fine di respingere i manifestanti dalle vie d’accesso al palazzo per poi disperdere la folla attrevrso l’utilizzo di gas lacrimogeni. A tali violenze sono seguiti numerosi arresti di manifestanti da parte delle forze di polizia. Il numero di arresti ammonterebbe a circa 70 individui, tutti avvenuti nella notte del venerdì 18 ottobre, accusati di sabotaggio, incendio doloso e atti di sciacallaggio. Tuttavia, come reso noto da un comunicato dell’ANI, l’Agenzia Nazionale d’Informazione, a partire dal pomeriggio di sabato 19, tutti i detenuti sarebbero stati prontamente rilasciati. Attraverso un comunicato ufficiale, lo stesso giorno, i vertici dell’esercito libanese si sono rivolti ai manifestanti nelle piazze invitanto questi ultimi a manifestare in maniera pacifica e ad evitare ogni forma di violenza.
Nel frattempo, la partecipazione alle manifestazioni è in continua crescita e la contestazione sta avendo un tale impatto da poter essere paragonata alle primavere arabe che, a partire dal 2011, avevano infiammato numerose piazze in Medioriente e in Nord Africa. Dal canto suo, il Libano non aveva avuto, sinora, manifestazioni di questo calibro, eccezion fatta per le proteste del 2015, anno dello scandalo sulla gestione dei rifiuti che vide, anche all’epoca, numerosi manifestanti scendere in piazza contro il governo. Se a ciò aggiungiamo il fatto che, per la prima volta nella storia del Libano, la comunità cristiana, quella drusa e quella musulmana sciita e sunnita si trovano unite per perseguire un unico obiettivo, ci rendiamo conto che quello in corso nel Paese è un evento epocale.
Le proteste che, come già detto, hanno avuto inizialmente il loro apice nella capitale, hanno cominciato a diffondersi anche nelle altre città importanti del Paese, in particolare a Tripoli, a nord del Libano, e i due grossi centri di Nabatieh e Tiro, a sud.

L’inutile dietrofront del governo riaccende la protesta.
A seguito dell’inaspettato successo alle proteste, il pomeriggio del venerdì 18 ottobre, è arrivata una pronta risposta ufficiale da parte del governo libanese. I politici della maggioranza hanno dichiarato che la tassa su Whatsapp, causa scatenante dei disordini, sarebbe stata ritirata a breve. Il premier Saad Hariri, particolarmente contestato dai manifestanti scesi in piazza, ha tuttavia escluso la possibilità di una sua dimissione garantendo, al contempo, di voler venire incontro alle richieste dei manifestanti.
Tale misura, però, non ha sortito l’effetto sperato dai politici di maggioranza. Il disperato dietrofront di Hariri non ha fatto altro che riaccendere l’animo alle migliaia di giovani manifestanti esacerbando le loro proteste contro la corruzione ai vertici del governo, la disoccupazione e il carovita.
Diverse le reazioni degli altri attori politici libanesi: il partito cristiano maronita al-Quwwāt al-Lubnāniyya (Forze Libanesi) , capeggiato da Samir Geagea, ha annunciato, sabato 19 ottobre, terzo giorno di manifestazioni nel Paese, le dimissioni sue e dei suoi ministri. Dal canto suo, Hassan Nassrallah, capo del movimento sciita di Hezbollah ha per il momento dichiarato di essere contrario all’eventuale caduta dell’attuale governo in carica, attirandosi – fatto senza precedenti- numerose critiche da buona parte della stessa comunità sciita. 
La situazione in Libano non è stata ignorata da parte dei numerosi libanesi della diaspora. A farsi sentire, infatti, sono stati anche i cittadini del Paese dei cedri residenti nelle varie città dell’Europa e del mondo. Importanti manifestazioni in sostegno ai manifestanti di Beirut hanno avuto luogo, questo sabato, a Parigi, Washington, e nella stessa Milano.

Il Sessantotto libanese: basta confessionalismo e divisioni.

A partire da ieri, lunedì 21 ottobre, le scuole della capitale sono chiuse e, nelle strade, la mobilitazione dei giovani sembra non placarsi. Slogan rivoluzionari continuano a reclamare la caduta del governo e cominciano a palesarsi nuove istanze, sino a qualche tempo fa impensabili, come la pretesa di uno Stato laico. Per la prima volta nella storia del Libano, i giovani attaccano il sistema basato sul confessionalismo che ha contraddistinto la storia e la politica del Paese a partire dalla sua indipendenza nel lontano 1943.
Dalla tarda serata di ieri, la manifestazione ha cominciato a prendere una propria fisionomia caratterizzata da simboli e linguaggi che, senza dubbio, contraddistingueranno d’ora in avanti la Rivoluzione dei cedri del 2019. Il nuovo volto della protesta Libanese, infatti, sembra essere quella del Joker interpretato del film di Todd Phillips, la cui maschera sta cominciando a comparire sul volto di migliaia giovani manifestanti libanesi.
Dopotutto, i colori della maschera ben si prestano alla protesta in atto: rosso, bianco e verde, con un cedro all’altezza degli occhi permettono a molti manifestanti di nascondersi dietro una maschera che riprende i colori e i simboli della bandiera nazionale.
L’artista libanese Nouri Flayhan, disegnatrice presso la casa di moda italiana Gucci, ha dato il suo contributo alla protesta postando, nella sua pagina Instagram, tre disegni che, nel giro di poco tempo, hanno spopolato tra i social network e sono diventati un vero e proprio simbolo della manifestazione antigovernativa in corso.
In tutta risposta, attraverso un comunicato alla televisione libanese, il premier Hariri ha svelato una serie di riforme in programma per l’anno prossimo e, illustrando il bilancio economico per il 2020, ha assicurato che “i libanesi non pagheranno alcuna imposta supplementare nel corso del prossimo anno”. Appaiono nel programma, tra l’altro, nuove tasse per le banche e, gesto altamente simbolico, un dimezzamento degli stipendi rivolto a tutta la classe politica libanese.