di Giuseppe Gagliano –
L’8 gennaio 2025 segna un momento cruciale per il Libano, quando Sleiman Frangieh, candidato sostenuto da Hezbollah e dal Movimento Amal, ha ritirato la sua candidatura alla presidenza, dichiarando il proprio sostegno al generale Joseph Aoun, attuale comandante delle Forze Armate libanesi (LAF). Questo sviluppo non solo rimodella la corsa presidenziale ma mette in luce una dinamica politica regionale profondamente trasformata, segnata dall’indebolimento di Hezbollah e dal ritorno dell’influenza saudita.
Il Libano è senza presidente dal 31 ottobre 2022, quando è scaduto il mandato di Michel Aoun. Il sistema parlamentare libanese richiede un delicato equilibrio confessionale, con il capo di Stato che deve essere cristiano maronita, il primo ministro sunnita e il presidente del Parlamento sciita. Tuttavia, l’assenza di consenso politico e le rivalità tra i blocchi hanno paralizzato il processo decisionale, aggravando una crisi economica e istituzionale già devastante.
Secondo l’articolo 49 della Costituzione, l’elezione richiede nel primo turno una maggioranza qualificata di due terzi dei parlamentari, ma nei turni successivi basta la maggioranza semplice. L’ultima votazione significativa del giugno 2024 ha visto il fallimento di Jihad Azour, sostenuto dalle forze di opposizione a Hezbollah, nel superare la soglia necessaria, lasciando il Paese in un limbo.
Hezbollah, storicamente un attore dominante nella politica libanese, ha subito colpi significativi negli ultimi mesi. L’assassinio del segretario generale Hassan Nasrallah in un raid israeliano e la caduta del regime di Bashar al-Assad in Siria hanno indebolito la sua posizione regionale. Questi eventi, uniti ai danni economici causati dalla guerra con Israele, hanno minato il sostegno popolare e politico del gruppo.
Il ritiro di Frangieh riflette il riconoscimento da parte di Hezbollah dell’impossibilità di imporre un candidato divisivo in un momento di vulnerabilità. Inoltre, la scelta di sostenere Joseph Aoun, percepito come figura neutrale e accettabile per Stati Uniti e Arabia Saudita, segnala una significativa ritirata strategica.
Il Libano si trova al centro di un rinnovato interesse internazionale. Gli Stati Uniti hanno intensificato la pressione diplomatica per garantire l’elezione di Aoun, considerato un leader capace di riportare stabilità istituzionale e contenere l’influenza iraniana. L’inviato statunitense Amos Hochstein, durante la sua visita a Beirut, ha indicato che l’Arabia Saudita è pronta a stanziare ingenti risorse per la ricostruzione del Paese in caso di vittoria di Aoun, un chiaro segnale del ritorno di Riyadh come mediatore regionale.
Questo sostegno esterno rispecchia il cambio di priorità saudita, che, dopo anni di disimpegno, vede un’opportunità per ridimensionare l’influenza di Hezbollah e ripristinare la sovranità libanese. Tuttavia, la polarizzazione interna e la complessità degli equilibri regionali rimangono ostacoli significativi.
L’imminente tredicesima sessione parlamentare del 9 gennaio rappresenta un banco di prova per il Libano. Sebbene la candidatura di Joseph Aoun sembri godere di un consenso crescente, resta da vedere se i partiti politici riusciranno a convergere su un accordo in un Paese profondamente diviso. Inoltre l’avvicinarsi della scadenza del cessate-il-fuoco tra Hezbollah e Israele il 26 gennaio aumenta la pressione per trovare una soluzione rapida.
Il ritiro di Frangieh non è solo un evento politico, ma un simbolo del declino dell’influenza siriana e iraniana nel Libano contemporaneo. Tuttavia il futuro del Paese dipenderà dalla capacità dei suoi leader di superare interessi settari e pressioni esterne per affrontare le urgenti sfide economiche e sociali che affliggono la popolazione.