
di Giuseppe Gagliano –
Il ritiro israeliano dal sud del Libano, previsto entro il 18 febbraio, è al centro di una nuova controversia diplomatica. Beirut ha respinto la proposta di Tel Aviv di mantenere una presenza militare in cinque postazioni strategiche lungo il confine, una richiesta sostenuta dall’amministrazione statunitense. Il presidente del Parlamento libanese, Nabih Berri, ha comunicato l’“assoluto rifiuto” del governo libanese dopo un incontro con l’ambasciatrice americana Lisa Johnson e il generale Jasper Jeffers, ribadendo che la sovranità del Libano non è negoziabile.
Il cessate-il-fuoco raggiunto il 27 novembre 2024 ha posto fine a oltre un anno di scontri tra Israele e Hezbollah. L’accordo prevedeva il dispiegamento dell’esercito libanese e dei peacekeeper dell’ONU nel sud del paese, in parallelo al ritiro delle forze israeliane, inizialmente previsto per il 26 gennaio e già prorogato fino al 18 febbraio. Israele, tuttavia, insiste sulla necessità di mantenere il controllo su cinque colline strategiche, Jabal Blat, Labouneh, Aziziyah, Awida e Hamames, per monitorare eventuali tentativi di Hezbollah di riorganizzarsi nell’area.
Washington ha espresso pieno appoggio alla richiesta israeliana. Un funzionario statunitense, citato dal Times of Israel, ha sottolineato che la presenza dell’IDF è “cruciale” per verificare il rispetto degli impegni assunti dal Libano. Un cambio di linea rispetto alla precedente amministrazione, con l’attuale presidenza Trump meno incline a concessioni su questo dossier. Netanyahu, dal canto suo, ha sollecitato un rinvio del ritiro durante un incontro con il presidente statunitense, ribadendo che le condizioni per un ritiro completo non sono ancora mature.
A Beirut il governo ha risposto proponendo il dispiegamento della missione UNIFIL, che dal 1978 supervisiona la cessazione delle ostilità tra Israele e Libano, in coordinamento con le forze armate libanesi. L’Onu, dal canto suo, ha ribadito la necessità di rispettare la Risoluzione 1701, che impone che solo le forze libanesi e i peacekeeper possano operare nel sud del paese. La tensione sul terreno resta alta. L’esercito israeliano ha continuato le operazioni lungo il confine, installando barriere di cemento e impedendo ai residenti libanesi di rientrare nelle aree evacuate. Il 13 febbraio un giovane, Khalil Fayyad, è morto per le ferite riportate dopo essere stato colpito da soldati israeliani il 26 gennaio, mentre cercava di tornare nella sua città natale di Aitaroun.
Nei prossimi giorni, la vice ambasciatrice statunitense per il Medio Oriente, Morgan Ortagus, tornerà a Beirut per monitorare la situazione. La Casa Bianca assicura che il ritiro israeliano avverrà nei tempi previsti, ma la pressione di Tel Aviv per mantenere il controllo di alcune aree strategiche lascia aperta la possibilità di un nuovo stallo diplomatico. Le incognite restano numerose e, come sempre, il prezzo dell’impasse lo pagano i civili.