Libia. Arrivano le navi italiane

di Vanessa Tomassini

Lo scorso lunedì 24 giugno è arrivata al presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni, la lettera del presidente del Governo presidenziale libico di Tripoli, Fayez al-Serraj, con la richiesta di un sostegno tecnico attraverso la fornitura di unità navali per il contrasto del traffico di esseri umani. La missiva del premier tripolino, riconosciuto dalla Nazioni Unite, è stata sottoposta all’attenzione del ministro della Difesa Roberta Pinotti e discussa ieri dal Consiglio dei Ministri che ha deciso di rispondere positivamente alla richiesta libica. Richiesta resa nota a conclusione dell’incontro di Parigi organizzato da Emmanuel Macron a cui hanno preso parte, oltre ad al-Serraj, il generale Khalifa Haftar, il quale pur non rivestendo alcun ruolo ufficiale, è al momento l’uomo forte vicino al governo di Tobruk, soprattutto dopo la liberazione di Bengasi dai miliziani del sedicente Stato Islamico.
Come si apprende dall’Ansa, il Cdm ha affidato il comando della nuova missione italiana di sostegno alla Libia nel contrasto ai trafficanti di esseri umani a una delle nuove sofisticate imbarcazioni della Marina militare, la Fremm Bergamini, dotata di un sistema di autodifesa antiaerea AAW (Anti Air Warfare) basato sul missile Aster 15, di missili superficie/aria MBDA Aster 30 per la difesa antiaerea e di un sistema di difesa ASuW (Anti Surface Warfare), basato sul missile Teseo/OTOMAT. Si prevede inoltre l’utilizzo di altre quattro o cinque navi supportate da aerei, forse un sottomarino e sofisticati droni. Per la missione dovrebbero essere impegnati qualche centinaia di militari. L’iniziativa di cui si stanno definendo ancora i dettagli sarà discussa in Parlamento martedì, proprio per valutare meglio quanti e quali risorse inviare, mentre le operazioni inizierebbero già mercoledì. Sempre martedì si capirà chi sarà messo a capo dell’intervento e a chi dovrà rispondere.
Tale manovra estenderebbe alle acque libiche l’operazione militare europea Eunavfor Med-Sophia, guidata dall’ammiraglio Enrico Credendino, che proprio in questi giorni è stata prorogata dal Consiglio europeo fino al 31 dicembre 2018. L’operazione permetterebbe di compiere ispezioni, fermi, sequestri e dirottamenti anche nelle acque della Libia, dove ad oggi è possibile agire solo su richiesta della Guardia costiera libica e non più soltanto in acque internazionali. Anche se non è possibile sapere se tale azione permetterà anche un azzeramento dei flussi migratori, una riduzione degli sbarchi sulle coste italiche è sicuramente prevedibile.
L’intervento rafforzerà maggiormente la collaborazione tra i due Paesi: l’Italia infatti si occupa già della formazione della Marina libica nel porto di Tripoli. Diversi sforzi sono già stati fatti dal ministro dell’Interno Marco Minniti, che il mese scorso aveva incontrato le autorità libiche riconsegnando dieci motovedette restaurate. In questo quadro un’altra nave militare italiana è alla fonda a Misurata, dove un contingente di militari italiani è di supporto ad un ospedale da campo dove vengono ricoverati i militari libici feriti negli scontri contro l’Isis.
Ma mentre in Italia ci si è subito mobilitati nell’organizzazione di tale operazione, forse perché feriti moralmente dall’esclusione dal meeting parigino, da Tripoli arriva una sorta di smentita, o meglio di chiarimento della situazione, affermando che “la sovranità libica è un filo rosso”. Nella nota di Serraj, diffusa ieri, si legge che “Con gli italiani abbiano concordato di continuare nel sostegno alla Marina libica attraverso addestramento e fornitura di attrezzature militari, che ci consentano di condurre operazioni di soccorso verso i migranti e di contrastare i trafficanti di esseri umani, oltre alla fornitura di attrezzature elettriche di controllo per i nostri confini meridionali”. Nota politicamente dovuta dal presidente vista la sofferenza dimostrata dal popolo libico all’intervento straniero, soprattutto dopo l’uccisione del rais Muammar Gheddafi, alla quale l’Italia ha partecipato prestando le sue basi militari a Francia, Inghilterra e Stati Uniti, perdendo l’amicizia stretta col Paese durante il governo Berlusconi, la quale era stata raggiunta malgrado gli sbagli fatti in passato durante il Ventennio fascista.
Al termine del Consiglio dei ministri Gentiloni ha chiarito che la missione italiana è da considerarsi un aiuto italiano alle autorità libiche nel condurre la loro iniziativa contro gli scafisti, rafforzando la loro capacità di controllo delle frontiere e del territorio nazionale. “È un pezzo di percorso della stabilizzazione della Libia a cui l’Italia sente il dovere di parteciparvi” ha dichiarato il primo ministro, sottolineando l’importanza del supporto alla marina libica non solo al contrasto dei mercanti di esseri umani, ma anche per cercare di governare i flussi migratori, priorità primaria per l’Italia e per l’Europa.
Già i vertici avvenuti a Roma, ai quali erano presenti più di sessanta capitribù, aveva fatto intendere una soluzione al problema migratorio attraverso il controllo dei confini sud dell’ex colonia italica e il rafforzamento del monitoraggio delle coste.
Se con la parte “di Tripoli” le cose sono in parte sistemate, resta un incognita il rapporto con la Cirenaica, ovvero con la parte del territorio governato da “Tobruk”, con a capo Abdullah al-Thinni ma di fatto Haftar: ancora non vi sono stati segnali sulla proposta di cooperazione avanzata dall’Italia.