Libia. Attentato contro il ministro dell’Interno. Erdogan pronto a mandare militari

di Enrico Oliari

Un commando di miliziani ha cercato di uccidere a Misurata, a circa 180 km da Tripoli, il ministro dell’Interno del governo libico di accordo nazionale, Fathi Bashagha. L’attentato si è svolto nel momento in cui Bashagha stava rientrando in auto da una riunione con alcuni ufficiali, ma la pronta reazione della scorta ha contrastato il prosieguo dell’azione, per cui il ministro è rimasto ferito, ma è ancora in vita. Bashagha, vicino ai Fratelli Musulmani, è considerato uomo forte del governo di unità nazionale presieduto da Fayez al-Serraj.
A distanza di poco vi è stato uno scambio di battute, seppure in modo indiretto, fra il presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi e il suo collega turco Recep Tayyp Erdogan: da un forum a Sharm el-Sheikh al-Sisi ha detto che “il governo a Tripoli è tenuto in ostaggio da milizie armate e terroriste”, e che “avremmo potuto intervenire in Libia, ma non lo abbiamo fatto per rispetto di fratellanza”.
Con una nota il Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale ha riposto al presidente egiziano al-Sisi affermando che “Comprendiamo il diritto dell’Egitto di garantire la propria sicurezza nazionale, ma non accettiamo alcuna minaccia alla nostra sovranità”. “Siamo sorpresi – continua – delle dichiarazioni di al-Sisi sulla sua descrizione dell’assenza di un governo libero in merito al nostro governo: invitiamo l’Egitto a rivedere la sua posizione sulla crisi libica e a svolgere un ruolo positivo in tale ambito”.
In realtà l’Egitto, gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita sostengono da sempre il governo “di Tobruk” e il generale Khalifa Haftar, capo dell’auto proclamato “Lna”, il suo personalissimo esercito, al punto di aver fornito in più occasioni copiosi carichi di armi e droni in barba alle disposizioni dell’Onu.
Le accuse della presenza di milizie terroristiche a Tripoli è risibile, non tanto perché non vi siano gruppi fondamentalisti, una realtà nella composita società politica libica, quanto perché di “terroristi” e miliziani di ogni risma ve ne sono da entrambe le parti, si veda l’attentato di oggi a Bashagha.
Se Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto sostengono il governo “di Tobruk”, con il governo di “Tripoli”, riconosciuto dalla comunità internazionale ed appoggiato dall’Italia, vi sono il Qatar e la Turchia. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha incontrato ieri al-Serraj, faccia a faccia di cui non si è saputo molto, ma poi è intervenuto sulla Haber Tv attaccando Haftar e annunciando che “Proteggeremo i diritti della Libia e della Turchia nel Mediterraneo orientale. Siamo più che pronti a dare il supporto necessario alla Libia”. Un supporto militare turco in Libia è ormai considerato come cosa fatta, dal momento che già il 10 dicembre Erdogan aveva avvertito della disponibilità “di inviare un numero sufficiente di militari nel momento in cui la Libia dovesse chiedere assistenza militare”, sottolineando che “decideremo in modo indipendente, non chiederemo il permesso a nessuno”.
A questo punto vi è il rischio che la polveriera libica esploda e che si trasformi in una nuova Siria, dove i molti conflitti si sono sovrapposti.
Haftar con il suo Lna è ormai alle porte di Tripoli in quella che è un’offensiva partita il 4 aprile e che si sarebbe dovuta concludere in un mese. Per quell’iniziativa Haftar ha avuto il via libera dalla Casa Bianca, ma diversamente non poteva essere: i detrattori di Haftar hanno sempre sostenuto che il generale fosse da sempre al soldo di Washington poiché, fatto prigioniero nel 1987 dall’esercito ciadiano in occasione della “Guerra delle Toyota”, è stato poi prelevato dalla Cia e portato negli Usa, dove vi è rimasto fino al 2011 per ricomparire in Libia a comandare la piazza di Bengasi nell’insurrezione che ha portato alla deposizione di Muammar Gheddafi.
Con in tasca il passaporto statunitense, negli Usa Haftar abitava a circa un chilometro dal quartier generale della CIA, a Langley.

(Nella foto: Khalifa Haftar con miliziani Madahkilisti, considerati terroristi al soldo dell’Arabia Saudita).