Libia. Come la soluzione potrebbe sfuggire dalle mani di al-Serraj ed Haftar

di Vanessa Tomassini

TUNISI. Oggi abbiamo incontrato il ricercatore mauritano El-Hussein el-Hallawi e l’ex portavoce del Consiglio supremo delle Tribù, Mohamed Umar Ahmed Musa, con i quali abbiamo provato ad analizzare gli scenari possibili in Libia, alla luce dell’attuale crisi. La maggior parte degli esperti e degli osservatori concordano che, allo stato attuale, il raggiungimento di una soluzione politica resta difficile da raggiungere in Libia. El-Hallawi crede che dipende principalmente “dalla mentalità libica che tende all’esclusione, rifiutando di condividere il potere con altre parti, facendo così prevalere la natura del dominio, che lavora per demonizzare e distruggere gli altri“.
Un secondo fattore che allontana l’insedimento politico è che la maggior parte dell’attuale élite politica e dei personaggi pubblici non vogliono la soluzione politica, che porterà ad elezioni a favore di nuovi volti, facendo perdere loro privilegi e i guadagni attuali, questo ha portato all’intransigenza dei politici e non accettare l’abdicazione.
Volendo analizzare la situazione attuale, è evidente che in Libia assistiamo ad uno “Squilibrio del potere a favore dell’esercito nazionale libico (LNA) guidato dal maresciallo Khalifa Haftar, in quanto attualmente estende il suo controllo su più di tre quarti dell’area della Libia (abitata dal 48% della popolazione) e controlla 4 su 5 porti per esportare petrolio e suoi derivati e 2 raffinerie di petrolio su 3 del paese, il 78% dei giacimenti petroliferi è sotto il suo controllo. Controlla 8 basi aeree nella Libia orientale, meridionale e occidentale, su 11 basi in tutta la Libia. Ciò fa sì che Hafter faccia molto affidamento sulla guerra e respinga la soluzione politica”. Non vanno dimenticate infine le interferenze straniere, il flusso di armi, attrezzature e mercenari in Libia.
Tutto ciò, lascia immaginare due possibili scenari. Il primo è quello in cui la guerra continua per un altro anno, dove il fattore tempo è a favore dell’esercito nazionale libico (LNA). “Più dura la guerra, più le risorse delle milizie vengono scaricate a Tripoli, soprattutto dopo che il 78% delle esportazioni di petrolio della Libia sono state fermate”. Il ricercatore ci ha spiegato che “il governo di al-Serraj e le sue forze dipendono principalmente dalle entrate petrolifere, mentre Haftar conta finanziariamente sia sugli Emirati Arabi che sull’Arabia Saudita, che gli forniscono 42 milioni di dollari al mese (principalmente dagli Emirati Arabi Uniti), la maggior parte di questi soldi va come stipendi alle forze di Hafter che superano i 50mila combattenti”.
Per el-Hallawi la continuazione della guerra significa “la caduta di Tripoli nelle mani di Haftar, e quindi il suo completo controllo sulla Libia, con la sua unicità di decisione e il ritorno della tirannia di nuovo in un modo che non differisce molto da quello che hanno vissuto i libici per quattro decenni”.
Questa ipotesi porta ad un secondo scenario: manifestazioni di massa che respingono la guerra con la collaborazione tra tutti i personaggi pubblici. El-Hallawi ci ricorda che “esiste un terzo flusso che costituisce la maggioranza silenziosa in Libia. I leader di questo flusso sono un’élite culturale e politica che non ha partecipato al regime precedente, o al sistema che ha seguito il febbraio 2011, ed è composta da accademici, leader sociali, attivisti, intellettuali, giovani e donne. Hanno cercato per mesi di coordinarsi tra loro per spostare la strada libica in un massiccio movimento di disobbedienza civile, a partire da villaggi, città e aree rurali, che sono lontane dalla presa delle milizie, per poi diffondersi gradualmente fino a raggiunge le principali città sul Mediterraneo“.
Lo abbiamo iniziato a vedere con la nascita di movimenti spontanei, coalizioni tra partiti, conferenze di pace. Non si tratta di una vera e propria ideologia politica, ma di reazioni spontanee da parte di tribù e gruppi di persone che non si sentono rappresentate nè dal Governo di Accordo Nazionale (GNA), nè dalla campagna sanguinaria di Haftar. Una corrente pacifica che esige un cambiamento senza l’uso delle armi, simile a quanto accaduto in Algeria, Sudan e Libano.
Il ricercatore mauritano afferma che “questa tendenza, se i suoi sforzi riusciranno nei prossimi mesi porterà ad uno o più attori locali, che rovesceranno i leader della scena pubblica, stabilirà una completa riconciliazione nazionale e giustizia di transizione che libera gli oppressi, rende giustizia alle vittime delle violazioni dei diritti umani e il processo dei signori della guerra nei tribunali”. Le prossime settimane si preannunciano fitte di eventi.

Articolo in mediapartnership con SpecialeLibia.