Libia. Haftar minaccia gli “invasori turchi”, ma le sue forze sono fatte di mercenari, armi dagli Eau e aerei dalla Russia

Difficile ipotizzare una spartizione della Libia in zone di influenze turca e russa.

di Enrico Oliari

Il generale “di Tobruk” Khalifa Haftar è tornato a minacciare le forze turche scese in campo per dare man forte al governo di Accordo nazionale, riconosciuto dalle Nazioni Unite. In un messaggio audio diffuso per la fine del Ramadan, Haftar ha ammonito che è in corso “una guerra santa contro l’invasore turco”, ed ha aggiunto che “qualsiasi elemento turco sarà considerato un obiettivo legittimo nei confronti del quale non sarà mostrata alcuna pietà”.
L’intervento turco ha permesso ai regolari di Tripoli e alle milizie alleate di riprendere posizioni importati come la base militare di al-Watiya, occupata da Haftar nel 2014 e dalla quale partivano gli attacchi aerei sulla capitale.
I rapporti d’intelligence, ma anche le evidenze sotto gli occhi di tutti, mostrano il sostegno militare ed economico che Haftar continua a ricevere dagli Emirati Arabi Uniti, dall’Arabia Saudita, dall’Egitto e persino dalla Russia, e tra le forze dell’autoproclamato Libyan National Army combattono migliaia di mercenari sudanesi e ciadiani. Haftar quando parla di “invasori” smentisce quindi se stesso, e da Mosca sono arrivati, oltre ad un migliaio di mercenari della compagnia privata Wagner, anche 8 caccia bombardieri (6 MiG-29 e 2 Su-24), per cui il comandante della forza aerea di Haftar, Saqr al-Jaroshi, ha già fatto sapere che per “le prossime ore la più grande campagna aerea nella storia della Libia”. Non è in realtà chiaro se si tratta di velivoli inviati direttamente dal Cremlino o se, più probabilmente, si tratta di aerei acquistati da rais della Cirenaica.
Ovviamente, com’è stato riferito da Ankara, “la Turchia è ben preparata a difendere le proprie basi e gli altri siti sotto la sua protezione e le navi da guerra dispiegate nei pressi di Tripoli”.
Diversi analisti parlano di una possibile spartizione della Libia in due zone di influenza, la Tripolitania alla Turchia e la Cirenaica alla Russia, e che quindi l’Italia abbia definitivamente perso la propria zona di influenza. In realtà è ipotizzabile uno scenario ben diverso. Non bisogna infatti dimenticare che Haftar resta un uomo degli Usa, anche perché durante la guerra contro il Ciad del 1987, la cosiddetta “Guerra delle Toyota”, il generale fu fatto prigioniero salvo poi essere prelevato dalla Cia e portato negli Usa fino al 2011, quando comparve per guidare la piazza di Bengasi contro Gheddafi. Con passaporto statunitense in tasca, negli Usa abitava a Langley, ad un chilometro dalla sede della Cia, ha passaporto statunitense e persino per la sua offensiva del 4 aprile di un anno fa Haftar aveva ricevuto il via libera da Washington, con un Donald Trump che, secondo Bloomberg, aveva dato il suo ok via telefono.
Per la Russia non si tratterebbe quindi di allargare la propria influenza in un paese alieno, peraltro rischiando di rovinare i rapporti bilaterali con l’Italia, bensì saremmo davanti ad una semplice prestazione di servizi in cambio di denaro.
La musica cambierebbe di poco con l’intervento turco in Libia: a Recep Tayyp Erdogan interessano le zone marittime attorno a Cipro ricche di gas e di petrolio, le stesse dove l’Eni ha concessioni e ove Roma ha inviato pochi mesi fa la fregata Fremm Martinengo per tutelare i propri interessi: sarebbe quindi in Libia per fare quel “lavoro sporco” che l’Italia non può fare, ponendosi così in una condizione di poter trattare per le acque intorno a Cipro.
Pochi giorni fa il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, si è sentito al telefono con il collega turco Mevlut Cavusoglu per discutere della crisi libica, ma quello che ne è emerso è solo l’invito di prassi a cessare le ostilità. Difficile pensare ad una spartizione del paese, per quanto la guerra stessa promossa da Haftar espone al mondo intero ed alle potenze che ne possono trarre interesse tutta la fragilità della Libia.

Sergei Lavrov. (Foto Notizie Geopolitiche).