di Vanessa Tomassini –
Occupandoci di Libia, abbiamo più volte parlato dell’importanza delle tribù nel raggiungimento di una riunificazione e stabilità del Paese. Ieri il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian è volato nell’ex colonia italica per portare avanti l’attuazione degli accordi assunti il 25 luglio scorso a La Celle Saint-Cloud, vicino a Parigi, dal capo del governo di unità nazionale libico, Fayez al-Sarraj e dal comandante dell’Esercito Nazionale Libico, Khalifa Haftar. I due, in un vertice organizzato dal nuovo premier europeista Emmanuel Macron, si sono impregnati reciprocamente a rispettare un cessate-il-fuoco e a collaborare affinché si giunga al più presto a delle elezioni.
L’accordo ha escluso però molte fazioni libiche e altri Paesi occidentali, a cominciare dall’Italia, che hanno espresso la necessità di un meccanismo più ampio sotto la guida dell’Onu. Le tappe della missione in Libia del capo del Quai d’Orsay sono proprio Tobruk, Misurata, Bengasi e di nuovo Tobruk.
Gli sforzi per una pace tra le due fazioni vanno avanti da diverso tempo. Il 17 dicembre 2015, a Skhirat, in Marocco, alcuni delegati del Congresso di Tripoli e quelli della Camera di Tobruk avevano firmato l’accordo per la creazione di un “governo di accordo nazionale” seguendo le indicazioni delle Nazioni Unite. L’intesa aveva creato un comitato di Presidenza del quale facevano parte sei elementi designati dall’Onu: il premier Fayez al-Sarraj, i tre vicepremier Ahmed Maetig, Fathi Majbri e Musa Koni, e i due ministri Omar Aswad e Mohamed Ammar. Nel frattempo si aggiunsero altre tre figure politiche, due in rappresentanza del Fezzan, il sud della Libia, e uno della Cirenaica, la parte orientale.
L’accordo scadrà a dicembre ed è sempre stato vacillante. Anche oggi, nonostante lo sforzo francese, i rapporti tra Haftar e al-Serraj risultano tutt’altro che idilliaci. Se infatti con la liberazione di Bengasi Haftar sembrava essere l’uomo forte del Paese, riuscitosi a guadagnare la fiducia delle tribù, ora il generale sembra avere qualche problema. Dopo il meeting francese infatti le famiglie libiche starebbero iniziando a collaborare direttamente con al-Serraj, trovando inutile il loro sostegno al generale.
Tra queste una delle più importanti nella parte orientale è quella dei Qaam Alawakir, con base tra Bengasi e Soloug, che hanno perso un loro figlio proprio negli scontri di Bengasi. Non è un caso che al-Serraj abbia nominato proprio Faraj Qaam, appartenete al clan Awakir, sottosegretario del ministero degli Interni (http://www.wakionline.com/news-libya/53701.html). Con questa mossa al-Serraj si è assicurato la collaborazione, anche se temporanea, di una delle principali tribù libiche, fino ad oggi di sostegno all’esercito.
C’è da dire che le tribù in Libia sono 140 ed è da sempre estremamente difficile trovare un punto d’incontro, ma sembrerebbe che questa volta Khalifa Haftar stia davvero perdendo il suo tappeto rosso.
Resta inoltre il fatto che ma i detrattori di Haftar lo accusano di essere stato al soldo di Washington in quanto, fatto prigioniero nel 1987 dall’esercito ciadiano in occasione della “Guerra delle Toyota”, è stato poi prelevato dalla Cia e portato negli Usa, dove vi è rimasto fino al 2011 per ricomparire in Libia a comandare la piazza di Bengasi nell’insurrezione che ha portato alla deposizione di Muammar Gheddafi. Con quindi un debito nei confronti degli Usa, non visti di buon occhio dalle popolazioni arabe.