Libia. Il generale Haftar ci riprova: attacco autonomo alle milizie jihadiste di Bengasi, con missili e raid aerei

di Enrico Oliari –

haftar grandeAncora episodi di sangue nel caos libico, dove, dalla caduta di Gheddafi, il governo centrale non controlla che poche parti del territorio e della vita sociale del paese, mentre il resto è in mano a tribù spesso belligeranti fra loro, a milizie autonome, gruppi jihadisti, trafficanti e persino brigate dell’ancien regime: ammonta a 79 morti e 200 feriti il bilancio delle vittime degli scontri scoppiati a Bengasi, nell’est della Libia, tra miliziani islamici e un gruppo armato fedele a un ex generale della Rivoluzione.
Già nel febbraio scorso era girata notizia che il generale dell’Esercito libero Khalifa Haftar, uno degli autori della ribellione contro Muammar Gheddafi, aveva tentato un golpe al punto che l’emittente panaraba al-Arabiya aveva reso noto l’annuncio da parte dell’Esercito della sospensione del Parlamento e del governo; Haftar aveva dichiarato che “Il comando nazionale dell’Esercito libico si sta muovendo per impostare la nuova road map per salvare il paese dalla sciagura” e quindi farlo uscire dalla crisi politica, ma poi era stato portato a ragionare dalle autorità governative e la situazione era rientrata.
In queste ore Khalifa Haftar ha attaccato anche con raid aerei e missili le postazioni delle milizie jihadiste dei gruppi di Ansar al-Sharia e delle “Brigate 17 febbraio” a Bengasi, in quella che è stata chiamata “Operazione Dignità della Libia”. Nel frattempo si sono mosse anche le truppe di terra, che hanno attaccato gli jihadisti in diversi punti della Cirenaica, in particolare a Bengasi; scontri sarebbero ancora in corso nei pressi della caserma Rafallah al-Sahati, una delle basi dei miliziani jihadisti.
Con un comunicato le tribù della zona di Agedabia, dove ieri è esploso un potente ordigno senza provocare vittime, hanno fatto sapere il loro appoggio ad Hafter, garantendo l’invio di propri miliziani, mentre il capo dello Stato maggiore dell’esercito libico, Abdel-Salam Gadallah al-Obeidi, ha definito l’azione di Haftar un “colpo di Stato” ed ha già annunciato che le forze governative di stanza a Tripoli non entreranno in azione a sostegno del generale ribelle.
Anche il neo-premier Ahmed Miitig ha dichiarato che un caccia dell’esercito e circa 120 soldati hanno attaccato le basi delle due milizie, la Rafallah al-Sahati e la “Brigata 17 febbraio”, ma ha osservato che “Si tratta di un tentativo di sfruttare l’attuale situazione di sicurezza per schierarsi contro la rivoluzione. L’era dei colpi di Stato è finita”.
La situazione permane caotica: Mohammed al-Hegazi, portavoce di Haftar, ha detto all’emittente al-Ahrar che alcune unità dell’esercito libico si sono riunite al generale nella lotta contro le milizie islamiche e che “I combattimenti non si fermeranno finché non saranno raggiunti gli obiettivi dell’operazione”. Ismail al-Salabi, comandante della milizia Rafallah al-Sahati ha parlato di “golpe in atto” ed ha fatto sapere che le basi jihadiste sanno resistendo; un altro comandante, Fathi al-Obeidi, ha etichettato l’operazione condotta da Haftar come “una ribellione contro i rivoluzionari, lo Stato e la Rivolta legittima”.
Intanto autorità libiche hanno provveduto alla chiusura dell’aeroporto di Bengasi “per – come ha spiegato Ibrahim Farkash, direttore dello scalo – tutelare la sicurezza dei passeggeri perché ci sono scontri in città; si riaprirà solo quando le condizioni lo consentiranno”.
Algeri ha disposto la chiusura dell’ambasciata a Tripoli in quanto vi sarebbe una “minaccia reale e imminente” ed ha già provveduto ad evacuare l’ambasciatore Mohammed Mokhtar Ahmed Mazen, insieme allo staff: proprio due giorni fa il diplomatico sarebbe sfuggito a un tentativo di sequestro, ennesimo gesto contro i diplomatici nella turbolenta Libia.
In questo quadro l’Italia è stata chiamata dal G8 che si era svolto a Lough Erne il 18 giugno scorso ad intervenire ed il 4 luglio l’allora premier libico Alì Zeidan e quello italiano Enrico Letta si erano incontrati a Roma per discutere di accordi volti a rimettere in sicurezza il Paese; militari libici sono stati addestrati da quelli italiani a Cassino ed in altri centri. Oltre agli accordi per la sicurezza, sul piatto anche 110 mld di dlr di appalti precedentemente stipulati (circa 11mila contratti) e la ripresa delle opere di costruzione delle infrastrutture lasciate a metà dalle ditte straniere a causa della rivoluzione.