Libia. La Russia “scarica” ancora Haftar. Conte chiede aiuto a Trump

Ma il presidente Usa gli ricorda il “no” dell’Italia a Guaidò.

di Enrico Oliari

La Russia è tornata a scaricare, almeno in modo ufficiale, il generale libico Khalifa Haftar, il quale da quasi due settimane sta tentato con il suo esercito armato da Emirati Arabi Uniti ed Egitto di prendere Tripoli e cancellare il governo di Accordo nazionale riconosciuto dall’Onu.
Rispondendo probabilmente a nuove richieste avanzate da Bengasi, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha comunicato via Twitter che “La situazione intorno a Tripoli continua a deteriorarsi, le battaglie diventano di posizione e ci sono centinaia di morti e feriti. Ribadiamo la nostra posizione di principio a favore di una risoluzione pacifica della crisi in Libia sotto l’egida Onu”, ovvero l’operato del governo “di Tripoli”.
Non è la prima volta che il generale libico, da più parti ritenuto la longa manus di Francia e Usa, bussa alla porta del Cremlino nella speranza di trovare supporto alle sue iniziative: in più occasioni si è infatti recato a Mosca o ha inviato in sua rappresentanza Abdelbasset Badri per chiedere armi ed appoggio politico, persino promettendo in cambio una base aerea in Cirenaica, ma la risposta è sempre stata quella cortese e diplomatica di sostegno alla pace ed al dialogo nazionale. E’ evidente che Mosca non ha intenzione di mettere lo scarpone nel marasma libico essendo già presente in quello siriano, ed inoltre non c’è nelle intenzioni del Cremlino quella di aprire un conflitto diplomatico con l’occidente, essendo la Libia zona di influenza italiana.
Anche la notizia diffusa qualche giorno fa dal Telegraph della presenza a Bengasi di 300 militari russi non ha mai trovato conferma ed è stata smentita dal generale di brigata Ahmed al-Mismari, dell’esercito di Haftar, che ha bollato tali informazioni come “ridicole”.
Mosca ha comunque riflettuto nel gennaio 2017 sulla proposta della base in Cirenaica, tanto che il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov si era recato allora con altri alti ufficiali a bordo della portaerei Admiral Kuznetsov di rientro con il suo gruppo navale dalla Siria proprio quando transitava davanti alla Libia, ma la cosa è finita lì.
D’altronde Haftar continua ad essere schiavo del suo passato e malvisto da quelle milizie più o meno islamiste che compongono partecipano al governo di Accordo nazionale: il generale è accusato di essere stato al soldo di Washington in quanto, fatto prigioniero nel 1987 dall’esercito ciadiano in occasione della “Guerra delle Toyota”, è stato poi prelevato dalla Cia e portato negli Usa, dove vi è rimasto fino al 2011 per ricomparire in Libia a comandare la piazza di Bengasi nell’insurrezione che ha portato alla deposizione di Muammar Gheddafi.
E mentre il bilancio degli scontri di questi giorni ha già raggiunto secondo l’Oms la cifra di a 205 vittime e 913 i feriti, il premier italiano Giuseppe Conte si è sentito al telefono con Donald Trump per chiedere il suo aiuto, il presidente Usa, che ha sempre visto la questione libica come un problema tutto europeo o al massimo mediterraneo, ha chiesto una settimana di tempo per studiare la situazione, ha affermato da buon alleato che “la vostra linea è la nostra linea”, ma ha ricordato che l’Italia non ha riconosciuto l’autoproclamato presidente venezuelano Juan Guaidò, arrivando a bloccare il riconoscimento dell’Unione Europea attraverso il veto. Do ut des.