Libia. L’ambasciatore Perrone alla conferenza Ispi di Milano, ‘Nuovi accordi per la Libia: quali prospettive’

di Vanessa Tomassini

MILANO. In occasione dei dialoghi sul Mediterraneo “Towards MED 2017”, si è svolta nella splendida cornice di palazzo Clerici, sede dell’Italian Institute for International Political Studies (ISPI), la conferenza “Nuovi accordi per la Libia: quali prospettive?”, evento organizzato dall’istituto di politiche internazionali in collaborazione con il consolato degli Stati Uniti a Milano. Sono intervenuti Frederic Werhei, Senior Fellow, Middle East Program, Carnegie Endowment for International Peace degli Stati Uniti; Lorenzo Cremonesi, giornalista ed inviato speciale del Corriere della Sera; Arturo Varvelli, Senior Research Fellow presso ISPI e non poteva mancare il contributo di chi la Libia la vive ogni giorno sul campo: l’ambasciatore d’Italia a Tripoli, Giuseppe Perrone.
L’evento, che ha visto una sala gremita di partecipanti, è stato un momento molto costruttivo per fare il punto della situazione, sulle sfide attuali e quelle future per quali è necessaria un’azione unitaria da parte della comunità internazionale. Tra i temi caldi gli esperti hanno parlato di immigrazione e terrorismo, sottolineando gli sforzi vissuti in prima persona dal popolo libico. “Lo stato islamico in Libia è stato sconfitto, sono stato a Sirte ed ho potuto vederlo di persona – ha detto l’esperto Frederic Wehrey- in questa lotta sono morti oltre 700 libici e quindi lo Stato Islamico anche in occidente è stato distrutto, ma è stato sconfitto fondamentalmente dai libici, con l’aiuto delle forze esterne, ma che hanno subito il sacrificio in prima persona. Ecco perché è un po’ sconcertante il fatto che negli Stati Uniti sia bandito l’accesso ai libici”. Nonostante gli attacchi e le critiche che l’Italia ha ricevuto di recente, va ricordato il ruolo importante del nostro Paese.
“In questi giorni si sente molto parlare di Libia, ma non sempre chi ne parla conosce approfonditamente il dossier” ha esordito così il nostro ambasciatore a Tripoli, Giuseppe Perrone, passando poi ad illustrare “gli elementi evolutivi e regressivi” della situazione libica “in cui c’è al potere un governo riconosciuto dalle Nazioni Unite che ha compiuto notevoli progressi che vanno riconosciuti, perché l’attuale situazione è molto diversa a quella del 2015 e questo spesso non viene menzionato. Il governo ha rafforzato la propria presenza non solo a Tripoli, ma in tutto il Paese”. Ha aggiunto che anche nelle periferie “il governo è riuscito a portare servizi e a rafforzare la sicurezza. Anche se in maniera contraddittoria e con mezzi limitati, la Libia sta cercando di rafforzare la propria sovranità e il controllo sui propri confini”. La sfida maggiore ora sarà creare il giusto equilibrio tra il potere politico e militare, l’Italia è l’unico Paese occidentale ad avere un’ambasciata operativa a Tripoli, sinonimo dell’impegno attivo italiano a fianco dei libici per la Riconciliazione e sostenere la governance.
I relatori hanno anche parlato di immigrazione, che in questi giorni ha ricevuto un’attenzione mediatica particolare. L’ambasciatore Perrone ha sottolineato l’impegno di Libia e Italia nel contrastare il traffico di migranti e nel migliorare le condizioni dei centri di detenzioni migranti, per adeguarli agli standard internazionali.
Lorenzo Cremonesi, giornalista ed inviato del Corriere della Sera, ha fornito la sua testimonianza data dalla sua esperienza sul campo. Il collega ha parlato di “problemi enormi” e di quanto siamo lontani da una soluzione “sono stato a Sabratha, ho incontrato tre volte Haftar quest’anno, sia a Bengasi nel suo ufficio, sia a Roma che Hammam, e parlando direttamente con gli attori sul campo non vedo grosse note positive in Libia”. La politica internazionale, infatti, non ha fatto altro che alimentare le divisioni e le differenze all’interno del Paese. Cremonesi ha fatto particolarmente riferimento alle politiche di Francia e Italia “che ci dicono che va tutto bene, che siamo uniti, ma poi in realtà si fanno le scarpe a vicenda”. Al termine degli interventi i relatori hanno avuto modo di rispondere ad alcune domande.
L’ambasciatore Perrone e Wehrey alla nostra domanda su “come mai la comunità internazionale non prenda una posizione unitaria nei confronti di Haftar, accusato di crimini di guerra”, ci hanno detto che il generale gode di un grande sostegno in Cirenaica e perciò resta una figura fondamentale per il raggiungimento della riconciliazione. Tuttavia l’esperto americano ha ricordato i video in cui Haftar ordina ai suoi uomini uccisioni e crimini contro l’umanità. Wehrey ci ha detto che il generale “è responsabile di quello che è accaduto e i video lo dimostrano, per legge inoltre essendo comandante è responsabile per quello che accade. Lo stesso Haftar ha anche messo diverse persone del settore militare a ricoprire anche importanti posizione politiche, a Bengasi ad esempio, ha messo il figlio a capo del dipartimento che si occupa dell’acquisto delle armi e dell’interazione con la comunità internazionale. Sta cercando di controllare l’economia sempre attraverso persone rappresentative del settore militare, nonché gli afflussi dei profitti che derivano dalla città portuale di Bengasi”. Come ha più volte sostenuto il nostro giornale, Wehrei ha confermato che Haftar non è poi così forte come si pensa, “anche nella parte orientale il Cirenaico ha perso il supporto di molte tribù, come quella Alagir”. Insomma secondo l’esperto Haftar deve far parte del processo politico, ma a patto che l’uomo forte di Tobruk accetti di sottostare al potere politico.