Libia. Migranti: per la Ue porti non sicuri, ma l’ Italia insiste

di Marco Pugliese

Sempre più fulmini tra Italia e Ue nel già nuvoloso e delicato scenario mediterraneo. Si viaggia a “botta e risposta”, con il ministro dell’Interno Matteo Salvini che da Mosca parla di porti sicuri in Libia, salvo poi essere stoppato dall’ Alto Rappresentante Ue Federica Mogherini, epr la quale “Porti non sicuri in Libia, lo ha stabilito la Corte europea dei Diritti dell’Uomo”. Stoccata quindi all’Italia, ma Roma non demorde e ribadisce che “Allora faremo da soli”.
Anche la portavoce della Commissione Europea per le Migrazioni, Natasha Bertaud, ha dichiarato che “Nessuna operazione europea e nessuna nave europea effettua sbarchi in Libia, perché non lo consideriamo un Paese sicuro”. Per Salvini però si tratterebbe di un”ipocrisia”, per cui ha ricordato che alla Libia vengono dati fondi e mezzi per renderne i porti sicuri. Secondo l’intelligence italiana in questo ultimo mese i trafficanti d’esseri umani hanno intensificato gli sforzi per mettere a disagio i governi europei, in primis quello italiano, che hanno sapere di voler attuare una chiusura dei porti. Nelle stesse ore sono partite navi Ong alla volta delle acque Sar, di competenza libica. Salvini non si è fatto attendere e via Twitter (ormai i social sono sempre più protagonisti) ha precisato che i porti italiani rimarranno chiusi alle navi Ong. La controreplica di Astral e Opena Arms è arrivata poco dopo, “Sbarcare i migranti soccorsi in mare in Libia costituirebbe un refoulement (respingimento), contrario al diritto internazionale”.
Si ripiomba in pieno caso Aquarius, insomma.
Ma c’è chi volontariamente decide di rientrare in patria. I rimpatri volontari dalla Libia ai paesi d’origine sono stati ben 28mia negli ultimi sei mesi. Lo ha constatarlo l’UNHCR (Alto Commissariato Onu per i Rifugiati), secondo il quale gli arrivi sono calati in Italia dell’ 85% rispetto al 2017, fondamentalmente grazie al lavoro del predecessore di Salvini, Marco Minniti.
Rimane un nodo da risolvere, ovvero le condizioni disumane di chi entra in Libia e viene poi detenuto in attesa di partire, periodo in cui io paga o è sottoposto ad ogni tipo di violenza e di abuso. Il governo italiano pare avere sul tavolo alcune ipotesi: intervento militare vero e proprio con presidio della costa libica, in accordo con le autorità locali (complesso, soprattutto a causa della costellazione politica e tribale della Libia), o un’operazione soft in cooperazione con le forze locali atta ad ottenere lo stesso risultato. Da fonti militari trapela un certo timore per interventi di questo tipo che sarebbero da collocare in ambito Ue (ma pare oggi impossibile) o Nato, per cui Trump avrebbe dato il suo assenso. Si torna quindi allo scenario 2015, con l’allora premier Matteo Renzi pronto a schierare con il supporto Usa l’esercito in una missione Nato/Ue a comando italiano.
Si vedrà. Nel frattempo il braccio di ferro tra Italia e Ue continua, portandosi dietro tutte le conseguenze del caso.