di Giuseppe Gagliano –
La recente operazione di sequestro di droni militari cinesi destinati a Khalifa Haftar, leader delle forze ribelli in Libia, al porto di Gioia Tauro rivela l’intricato intreccio di interessi geopolitici e criminali che attraversano il Mediterraneo. Non è la prima volta che il porto calabrese è al centro di tali operazioni, dimostrando la sua vulnerabilità e la sua importanza strategica. Il coinvolgimento dell’intelligence Usa sottolinea la preoccupazione degli Stati Uniti per la proliferazione di armi e la destabilizzazione della regione. La scelta di sequestrare il carico a Gioia Tauro e non nei porti spagnoli di Valencia o Barcellona, anch’essi parte delle iniziative di sicurezza come la “Container Security Initiative”, riflette la fiducia nelle autorità italiane e la necessità di controllo diretto in un’area notoriamente influenzata dalla criminalità organizzata.
La presenza della ‘ndrangheta aggiunge un ulteriore livello di complessità, poiché il controllo dei traffici illeciti si intreccia con la geostrategia internazionale. L’Italia si trova così a bilanciare le relazioni con attori come Haftar, che controlla rotte migratorie e interessi strategici, con le pressioni di Washington che mira a impedire il rafforzamento delle forze libiche ostili attraverso rifornimenti militari. Questo doppio gioco pone il governo italiano in una posizione delicata, dovendo conciliare la necessità di mantenere canali di comunicazione aperti con Haftar e al contempo rispondere alle direttive statunitensi per la sicurezza globale. Il sequestro dei droni cinesi svela inoltre la rete di alleanze e rivalità internazionali, dove la Cina emerge come fornitore di tecnologia militare sofisticata, mentre l’embargo delle Nazioni Unite sulla Libia viene costantemente messo alla prova. Il porto di Gioia Tauro quindi non è solo un punto di passaggio per merci legittime, ma un campo di battaglia per il controllo di flussi illeciti che influenzano equilibri di potere regionali e globali.