di Giuseppe Gagliano –
La scorsa notte Tripoli è sprofondata nel caos. Spari, esplosioni, colonne di fumo nero che si levano dai quartieri meridionali: la capitale libica, già segnata da anni di divisioni e fragilità, è tornata a essere un campo di battaglia. L’uccisione di Abdel Ghani al-Kikli, detto “Gheniwa”, leader della potente milizia Stability Support Authority (SSA), ha scatenato violenti scontri tra fazioni armate, spingendo le autorità a dichiarare un lockdown d’emergenza e l’ONU a lanciare un appello disperato per la de-escalation. Mentre i residenti si barricano in casa, la Libia si ritrova ancora una volta ostaggio delle sue ferite aperte, in un vortice di vendette e interessi che minaccia di travolgere il fragile equilibrio del Paese.
Gli scontri sono esplosi intorno alle 21:00, poche ore dopo l’uccisione di Gheniwa, figura di spicco nel panorama delle milizie tripoline. La SSA, che opera sotto l’egida del Consiglio presidenziale e del Governo di unità nazionale (GNU) guidato da Abdul Hamid Dbeibah, controlla aree strategiche della capitale, come Abu Salim e Mashrou. L’omicidio di al-Kikli, attribuito a gruppi rivali ma senza conferme ufficiali, ha trasformato questi quartieri in teatri di guerra. A scontrarsi sono state le forze della SSA e una coalizione di milizie, tra cui la Forza congiunta di Misurata, la 444esima Brigata di combattimento e la 111esima Brigata, tutte legate alla città di Misurata, storico rivale di Tripoli nel controllo del potere.
I combattimenti, che hanno coinvolto armi pesanti in zone densamente popolate, hanno seminato il panico. “Ho visto luci rosse nel cielo, come traccianti, e sentito spari che non finivano mai”, racconta un residente di Abu Salim a Reuters, protetto dall’anonimato. Video diffusi sui social mostrano convogli armati che attraversano le strade e fumo che oscura il cielo notturno. Almeno sei persone sono rimaste ferite, ma il bilancio potrebbe aggravarsi. Il Ministero della Difesa del GNU ha rivendicato il controllo di Abu Salim nelle prime ore del 13 maggio, ma la situazione rimane fluida, con “manovre militari sospette” segnalate da Az-Zawiyah, Zintan e Misurata, che fanno temere un’escalation su larga scala.
Le autorità hanno reagito con misure drastiche. Il Ministero degli Interni ha imposto un coprifuoco, esortando i cittadini a non uscire di casa. Scuole e università, inclusa l’Università di Tripoli, hanno sospeso ogni attività, mentre l’aeroporto internazionale di Mitiga ha evacuato gli aerei verso Misurata, anche se il direttore, Ibrahim Farkash, ha insistito che lo spazio aereo rimane “sicuro”. Il Centro di ambulanza ed emergenza, guidato da Malek Marsit, è in stato di allerta, pronto a evacuare i civili intrappolati nelle zone di combattimento. Ma per i residenti, la paura è costante. “Ogni volta che le milizie si scontrano, siamo noi a pagare il prezzo”, lamenta un abitante, denunciando l’impunità dei gruppi armati.
La Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) ha espresso “allarme” per l’uso di armi pesanti in aree civili, richiamando le parti ai loro obblighi di proteggere i non combattenti. Ma in un Paese dove le milizie dettano legge, gli appelli dell’ONU suonano come voci nel deserto. La Libia, frammentata dalla caduta di Muammar Gheddafi nel 2011, è un mosaico di fazioni: il GNU, riconosciuto a livello internazionale, governa Tripoli e il nord-ovest, mentre il Governo di stabilità nazionale, con base a Bengasi, controlla l’est. Le riserve di petrolio e gas, tra le più ricche dell’Africa, sono il bottino che alimenta queste rivalità, con potenze straniere – Turchia, Russia, Emirati – che sostengono i diversi schieramenti.
Il cessate-il-fuoco del 23 ottobre 2020, mediato dall’ONU, aveva portato una parvenza di stabilità, ma non ha sanato le divisioni. Gli sforzi per organizzare elezioni nazionali si sono arenati, lasciando il Paese in un limbo politico. Gheniwa, con la sua SSA, era un attore chiave in questo equilibrio precario. La sua morte, probabilmente legata a dispute con le milizie di Misurata per il controllo di risorse e influenza, rischia di innescare una reazione a catena. Le “manovre sospette” di convogli armati da altre città suggeriscono che Tripoli potrebbe diventare il fulcro di una nuova guerra per il potere.
I civili, come sempre, sono i più vulnerabili. “Nessuno è mai ritenuto responsabile”, si lamenta un residente, eco di un sentimento diffuso in una nazione dove la giustizia è un miraggio. La Libia, con le sue immense ricchezze energetiche, rimane prigioniera di un ciclo di violenza che né le Nazioni Unite né i governi locali sembrano in grado di spezzare. Gli scontri di Tripoli non sono solo una vendetta per l’uccisione di Gheniwa: sono il sintomo di un Paese che, quattordici anni dopo la fine di Gheddafi, non ha ancora trovato pace.