
di Giovanni Caruselli –
La vicenda del lavoratore indiano infortunatosi e abbandonato dal suo datore di lavoro ha suscitato un giusto sdegno in chi prova un minimo di empatia per i più sfortunati. Tuttavia è probabile che, dopo un po’, non se ne parli più e si eviti di pensare di potere sradicare l’illegalità e il semi-schiavismo dalle nostre campagne. L’Italia va fiera del suo settore agroalimentare che rappresenta circa il 19% del suo Pil, ma occorre fare qualche considerazione in più. Oltre che alla tradizionale qualità, nell’export italiano gioca un ruolo importante la sua concorrenzialità. Il diffuso lavoro illegale degli stagionali stranieri contribuisce non poco a questa concorrenzialità. Il lavoratore in nero costa molto meno di quello regolarmente contrattualizzato e quindi più illegale è il rapporto di lavoro più è redditizio per il datore di lavoro.
In passato sono stati commessi molti errori nel regolamentare questo settore. Invece di istituire controlli severi, uffici statali destinati a favorire, invece che ostacolare, l’immigrazione, facendo leva sulla paura del diverso, si è cancellata la figura dello sponsor, si sono limitate le regolarizzazioni, si è quasi cancellato il permesso di soggiorno temporaneo per la ricerca del lavoro, si è insistito molto sulle espulsioni. Tutto ciò in contrasto con le esigenze economiche del settore che, secondo accreditati studi statistici della Fondazione Nordest, richiederebbe circa un milione di lavoratori delle campagne stranieri da impiegare nel Paese insieme alle loro famiglie.
Certamente la xenofobia diffusa gioca la sua parte, ma ci sono circostanze in cui i governi devono rischiare l’impopolarità per legiferare correttamente. Ottenimento e rinnovo di permessi di soggiorno richiedono tempi assurdi, lasciando i lavoratori stranieri privi di documenti che servono loro a far valere i propri diritti. Non si può dire che ciò sia dovuto a mancanza di esperienza, essendo l’immigrazione una realtà presente in Italia da decenni. E non si può ignorare che governi di sinistra, di centro e di destra abbiano fatto veramente poco per risolvere il problema.
Si è insistito sul malcostume del caporalato, ma non è solo esso responsabile del problema. Forse che la paurosa frequenza degli incidenti mortali nel lavoro industriale è attribuibile al caporalato? Piuttosto si è correttamente riconosciuto che la mancanza di controlli statali favorisce l’insufficienza delle misure di sicurezza. Che cosa accomuna quindi ambedue queste piaghe morali e materiali del Paese ? La secolare mancanza di controllo del territorio e il potere della malavita organizzata, che sostituisce lo Stato in parecchie regioni della penisola. Ai tempi dello Stato Pontificio si diceva che nelle città governavano i nobili e i borghesi, e nelle campagne le bande dei briganti. Nel rispetto reciproco! Vogliamo credere che il cambiamento verrà.