L’irrefrenabile voglia di colonizzare e lo “sviluppo alla pari”

Antichi problemi e nuove prospettive.

di Mimmo Di Garbo

Le recenti crisi libica e siriana che hanno visto partecipi e contrapposti vari attori internazionali, dagli Stati Uniti alla Russia passando per la Turchia, l’Egitto, la Francia, l’Italia ecc., a dimostrazione di come rimanga attuale l’interesse delle nazioni economicamente più potenti nel far sentire il loro “peso” sullo scacchiere internazionale e nei principali eventi che sconvolgono e riassettano gli equilibri mondiali.
Entrare nelle sfere d’influenza di altri Stati e popoli sovrani continua ad essere un modus operandi ben consolidato, eppure potrebbe essere questa la radice di tanti problemi.
Sin dall’alba dei tempi l’uomo, sia come singolo che come organizzazione sociale, ha cercato di prevaricare su altri soggetti che si trovavano in una situazione di debolezza. Perdendo in considerazione le civiltà dell’antichità, i Fenici e i Greci, ad esempio, non si limitarono a commerciare con i popoli vicini del Mediterraneo, ma nel corso del tempo, fondarono vere e proprie colonie lontano dalla propria terra natia, in territori che prima erano governati e gestiti da popolazioni autoctone.
Più consistente e preponderante fu l’azione dei Romani, che fondarono un impero soggiogando una moltitudine di popolazioni di Europa, Nord Africa e Medio Oriente. Queste azioni di forza portarono ad un arricchimento di Roma e ad uno splendore invidiato e desiderato sia da popoli sottomessi che dai popoli vicini oltre confine.
Gli “scossoni” del Tardo impero che portarono alla caduta di Roma incominciarono proprio da lì, da quella magnificenza raggiunta grazie al colonialismo spietato. Nell’impero erano continue le sommosse, in tanti provavano a ribellarsi all’invasore, altri invece preferivano spostarsi verso Roma attratti dalla sua ricchezza e dalle sue opportunità. I movimenti migratori interni erano continui e anche dall’esterno non era da meno, anzi con il passare dei secoli divennero sempre più consistenti e difendere il limes dell’impero diventava sempre più complesso. Le popolazioni “barbariche” premettero sempre sui confini di Roma durante tutta la storia dell’impero, ma dai primi secoli dopo Cristo in poi la pressione divenne devastante, le scorribande e le razzie nelle città romane vicino ai confini erano continue e più Roma si dimostrava debole e incapace a difendersi più i barbari divennero sfrontati e avanzano sino a giungere all’interno della Città eterna.
Ma l’obiettivo non era di per sé annientare Roma e la romanità in quanto tale: le popolazioni germaniche erano attratte dalla città eterna e il suo modo di vivere, dalla sua cultura, la sua storia ecc., e anche loro, in un certo senso, volevano essere Roma… una “nuova Roma”, non a caso il titolo di re dei romani rimase molto ambito per diversi secoli dopo la caduta dell’impero tra le popolazioni barbariche, e non a dimostrazione dell’ammirazione che si aveva rispetto a quel “mondo”.
Eppure ciò che prima ha portato Roma ricchezza e prosperità si è trasformato, nel corso del tempo, nella sua rovina. I romani non si interessarono d’implementare politiche di coesistenza pacifiche e di sviluppo alla pari con i popoli vicini né tanto meno con le popolazioni dominate, conquistarono, oppressero, si arricchirono e romanizzarono le popolazioni controllate. Di certo in una prima fase ciò arricchì l’impero e lo fece vedere magnifico agli occhi di tutto il mondo, ma proprio tutto ciò causò la sua fine, la colonizzazione spietata portò ad un fenomeno migratorio interno ed esterno altrettanto spietato verso Roma e le sue ricchezze fino a giungere al punto che il tutto divenne incontrollabile e Roma crollò insieme alle sue antiche ricchezze, andate in mano a chi aveva un tempo soggiogato, ignorato o combattuto.
Gli stati-nazione nati nel Medioevo non si comportarono molto diversamente. Loro volsero il loro sguardo oltre il Mediterraneo guardando verso l’Africa, l’Asia e dal XVI secolo le Americhe, iniziarono con la fondazione di colonie costiere imbastite principalmente per portare avanti gli affari commerciali che, nel corso dell’età moderna e contemporanea, diventarono delle azioni di occupazione politico-militare di interi Stati che proseguirono a volte sino alla seconda parte del XX secolo.
Basti guardare i vari imperi britannico, francese e spagnolo, solo per citarne alcuni, per vedere come nel corso degli ultimi secoli si siano spartiti il controllo territoriale ed economico di buona parte di America, Africa e Asia. Non si comportarono tutti nella stessa maniera, alcuni avevano un’ottica più assimilazionista (vedi i francesi), altri lasciavano maggiore spazio alle peculiarità delle popolazioni locali (vedi i britannici), di certo tutti avevano un obiettivo comune volto allo sfruttamento locale per arricchire la madre patria.
L’arricchimento delle nazioni europee ai danni delle nazioni colonizzate è proceduto spedito nel corso del tempo, facendo vedere agli occhi dei popoli colonizzati queste nazioni lontane migliaia di chilometri come la terra delle opportunità e della ricchezza, a differenza delle loro terre natie povere e senza prospettive. L’evento conseguente divenne necessariamente il movimento migratorio verso le nazioni colonizzatrici e soprattutto in Gran Bretagna e Francia si possono vedere i segni delle politiche coloniali del diciannovesimo e del ventesimo secolo con una massiccia presenza di etnie provenienti dagli ex paesi colonizzati.
Dopo la Seconda guerra mondiale l’occupazione politico-militare di altri paesi era ormai divenuta impresentabile. Il diritto all’autodeterminazione dei popoli era ormai un caposaldo del diritto internazionale e la voglia di indipendenza era ormai divenuta forte nei paesi colonizzati. Nella seconda metà del Novecento si è assistito ad una pressoché totale indipendenza delle nazioni colonizzate dai paesi europei nei secoli precedenti. A prima vista sembrerebbe che l’era del colonialismo sia stata di per sé superata per sempre e ogni popolo oggi ha la possibilità di decidere le proprie sorti senza l’ingerenza di altri stati. Ma nella realtà non è andata così. Il colonialismo si è solo trasformato, ha cambiato faccia, si è reso semplicemente più “presentabile” agli occhi dell’opinione pubblica. Da un colonialismo di stampo politico-militare con l’occupazione fisica di un territorio e l’assoggettamento di un popolo si è andati verso un colonialismo di tipo economico.
Adesso non ci sono più gli eserciti e i funzionari ministeriali ad occupare gli stati africani, sud americani e asiatici, ma le grandi aziende multinazionali delle nazioni “economicamente avanzate”.
Con la compiacenza dei propri governi e quella dei governi delle nazioni “neo-colonizzate” le multinazionali si appropriano delle materie prime degli stati colonizzati, lasciando le briciole dei propri ricavi in quelle nazioni e rivendono all’estero i propri prodotti arricchendo se stessi e le proprie nazioni di provenienza, come si diceva all’interno del romanzo Il Gattopardo “cambiare tutto per non cambiare niente”. I potentati sono rimasti sempre gli stessi e i poveri sono rimasti anch’essi sempre quelli di un tempo.
Di conseguenza anche gli antichi problemi non sono variati, anzi forse si sono ancor di più acutizzati.
Le popolazioni dei paesi più poveri, favoriti da una maggiore globalizzazione dei mezzi di comunicazione e dei mezzi di trasporto, vedono sempre con più interesse e attrazione i paesi del nord del mondo visti come i luoghi della democrazia, dei diritti, della pace e del benessere. Davanti alle ingiustizie, alle difficoltà e alla povertà delle loro terre preferiscono affrontare lunghi viaggi, molto dispendiosi e a volte anche pericolosi pur di raggiungere i paesi del nord. Arricchirsi sulle spalle di altri ha portato ad un enorme pressione sui propri confini terrestri, marittimi e aerei un po’ come avveniva 2000 anni fa ai romani, tanti secoli di storia non sono bastati per imparare la lezione.
Ancora oggi come allora non si ha alcun interesse nell’implementare un reciproco sviluppo grazie al quale si eviterebbero le migrazioni di massa ed esisterebbero solo le migrazione di tipo volontario. Si preferisce persistere con un colonialismo di tipo sfruttante e di impoverimento le cui conseguenze sono guerre, tensioni, carestie e movimenti migratori spaventosi che impoveriscono le popolazioni da cui partono i migranti e mettono sotto pressione le popolazioni che li dovrebbero accogliere.
I programmi di sviluppo rivolti ai paesi poveri nel corso degli anni si sono rivelati spesso inconsistenti e non all’altezza della sfida che si accingevano ad affrontare, alla fine con le “briciole” non si riesce a sfamare un popolo.
E’ l’ottica di base che dovrebbe completamente mutare, un vero e proprio cambio di mentalità, una rivoluzione culturale che guardi verso uno concreto “sviluppo alla pari”. L’arricchimento degli uni sugli altri, si è visto più volte nel corso della storia, ha portato esclusivamente a risultati nefasti, soltanto sacrificando un una parte della propria ricchezza per far progredire gli altri porterà ad una soluzione duratura ed equa. Lo sviluppo locale dei paesi poveri dovrebbe essere concreto, senza interferenze di nazioni e multinazionali estere e a queste nascenti multinazionali dei paesi poveri dovrebbe essere data la possibilità di investire e fare guadagni anche nei paesi ricchi, una vera e propria economia di equilibrio che porti prosperità ovunque.
Gli effetti benefici arriverebbero a catena uno dietro l’altro. Lo sviluppo economico porterebbe posti di lavoro e benessere dove oggi non ci sono, di conseguenza la grande maggioranza dei migranti non sentirà più la necessità di spostarsi ma rimarranno esclusivamente i migranti che avranno voglia di fare un esperienza di vita lontano dalla propria casa e dalla propria terra. Quello che inizialmente potrebbe sembrare una follia per una nazione ricca e per una multinazionale potente nell’arco di poche generazioni si trasformerebbe nell’investimento più azzeccato della storia, il benessere diffuso.