L’opzione Francesco

La visita di Bergoglio a Palermo riaccende le speranze di una Chiesa laburista e socialmente attiva, pronta ad uscire dalla crisi. Il radicalismo della “Benedict option” proposto da Rod Dreher non convince appieno nemmeno l’intellighenzia ratzingeriana.

di Daniele Priori –

Il quartiere Brancaccio di Palermo e la memoria del beato Pino Puglisi, il parroco antimafia del rione alla periferia del capoluogo siciliano, ucciso venticinque anni fa esatti dalla mafia e ricordato dalla visita in Sicilia di Papa Francesco, ha improvvisamente riacceso le luci su una Chiesa protagonista del mondo attuale, capace di tornare a svegliare le coscienze.
Gli ultimi giorni di questa bollente e oscura estate del 2018 sono stati dominati dai sussurri divenuti grida dell’ex nunzio apostolico in America, monsignor Viganò sul teorema del “sapeva e ha taciuto” e più o meno “siamo tutti complici” rispetto ai casi di molestie e pedofilia che hanno fiaccato fino quasi all’annientamento, anche economico, la Chiesa americana.
Tutto ciò, le rivelazioni minacciose, avvenivano in perfetta contemporaneità con il pellegrinaggio forse più difficile di Papa Francesco nel corso del suo ministero, nell’Irlanda cattolica scossa dai lasciti di storie ancor più antiche e non meno gravi delle molestie stesse ai danni di minori. Parliamo di figli negati, strappati alle loro madri giovanissime recluse in conventi di suore e in qualche caso, dopo il parto violento, costrette a prendere i voti. Storie risalenti ancora al secolo scorso che da qualche tempo hanno ulteriormente destato gli animi dei cattolici irlandesi. Si pensi al libro e al film candidato all’Oscar, Philomena del 2013, che affrontava proprio uno di questi casi.
Storie, quelle dei legami tra violenze su minori, nomine ecclesiastiche, presunte lobbies di preti (segretamente) omosessuali ma non al punto di non riuscire ad usare l’eventuale sexgate vaticano come arma di ricatto a loro favore, oltre alle trentennali beghe legate all’interno e ai dintorni dello Ior, il Banco Vaticano, che furono anche tra i motivi cardine della rinuncia al pontificato di Papa Benedetto nel febbraio di cinque anni fa.
Il caso – o quasi sicuramente altre ragioni – ha voluto che tutto questo ribollire più o meno velatamente ostile al pontefice regnante (tanto che sugli onnipresenti e sempre inopportuni quanto inevitabili social media è stato lanciato persino l’hashtag #iostoconFrancesco) sia coinciso con la discesa in Italia di un giornalista americano di nome Rod Dreher, a tal punto conservatore – garantisce lui solo in ambito teologico e non politico – da essersi convertito all’ortodossia.
Dreher è autore di un libro provocatorio e intelligente quanto – agli occhi di noi europei – non sufficientemente aderente alla realtà. Si tratta de L’opzione Benedetto tradotto e pubblicato in Italia dalle Edizioni Paoline.
Dreher affronta il “diluvio” in corso sulla Chiesa e sulla fede negli Stati Uniti attraverso le lenti ora di San Benedetto, ora di un altro Benedetto, il pontefice emerito Joseph Ratzinger, invocando la soluzione di un ritorno alla dimensione privata della fede da riscoprire e vivere in senso monastico-benedettino.
Accolto con istintivo favore dalla critica ratzingeriana, fino ai livelli più alti, l’entusiasmo di tutti – ivi compreso l’eminente monsignor Georg Gaenswein, già segretario di Benedetto XVI, ancora oggi prefetto della casa pontificia, si diluisce quando il ragionamento sposta l’opzione Benedetto al mondo europeo e a quello italiano.
Don Georg si spinge oltre e paragona le violenze e gli abusi sui minori ad un 11 Settembre prolungato nel tempo pur senza aver visto le cattedrali simbolo della fede cristiana distrutte da attacchi terroristici.
Il paragone con la grave crisi americana ci riporta però in Italia al presente, o meglio
agli ultimi venticinque anni, precisamente all’epoca delle grandi stragi di mafia, allorquando a Palermo fu ucciso don Pino Puglisi e, sempre la mafia, nel cuore della capitale, attaccò con due autobombe due dei luoghi simbolo del cattolicesimo romano: la basilica di San Giovanni in Laterano e la chiesa di San Giorgio al Velabro. Era l’estate del 1993, due mesi dopo il memorabile discorso di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi ad Agrigento, nel quale, rivolto ai boss, Wojtyla disse gridando: “Convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!”.
Un quarto di secolo più tardi, insperatamente, con una curia dilaniata e un Papa pesantemente messo in discussione, proprio dalla Sicilia sembra riprendere vigore quella che si potrebbe definire “l’opzione Francesco”.
Il pontefice, nel suo viaggio di sabato scorso, ha ovviamente citato il predecessore polacco, tanto nei toni quanto nelle argomentazioni contro la mafia, tuttavia è la devastante questione sociale che la distruzione operata dalla mafia ha lasciato in Sicilia, l’ambito in cui le parole di Francesco hanno fatto maggiormente centro: sottosviluppo sociale e culturale, sfruttamento dei lavoratori e mancanza di dignitosa occupazione per i giovani, migrazione di interi nuclei familiari, usura, alcolismo e altre dipendenze, gioco d’azzardo, sfilacciamento dei legami familiari sono stati i temi individuati.
La soluzione che Bergoglio rilancia nell’opzione Francesco sembra proprio essere decisamente opposta al piccolo monastero di Dreher.
“Non cercate Dio nella vostra stanzetta, chiusi in voi stessi a ripensare al passato o a vagare col pensiero in un futuro ignoto. No! Dio parla nella relazione: condividete esperienze forti, fate gruppo, fate una camminata, fate degli amici, fate Chiesa così”.
Un richiamo deciso all’azione, a non restare – come diceva Marco Pannella – con le mani in mano ma ad operare una preghiera viva, addirittura “un Vangelo da vivere” prima ancora che da spiegare.
Ed è esattamente in questi passaggi che in un certo senso “l’opzione Francesco”, un Papa laburista e più che mai rivolto agli ultimi, a capo di una Chiesa che si rifonda sulla dottrina sociale ed è inevitabilmente parte in causa nel mondo e del mondo, trova continuità proprio con il discorso inaugurale del pontificato di Benedetto XVI nel quale Ratzinger ebbe a descrivere una Chiesa nonostante tutto “giovane e viva” fondata su una verità originaria che – ha aggiunto Monsignor Gänswein nel suo recentissimo intervento alla Camera dei Deputati – non potrà essere indebolita o distrutta nemmeno da attacchi satanici come il suo stesso 11 settembre. Per questo devo ammettere con sincerità – ha concluso don Georg – che percepisco questo tempo di grande crisi, oggi evidente a tutti, soprattutto come un tempo di grazia”, presa di coscienza del profondo mutamento in corso nella comunità cattolica che la gerarchia europea e italiana, in primis Papa Bergoglio, intende evidentemente, al netto delle pur gravissime spaccature intestine, combattere con armi diverse da quelle radicalmente benedettine scelte da Dreher, contro un diluvio che – a quanto pare per ora – tende ad essere ricacciato indietro al di là dell’oceano, almeno fino a quando sarà possibile farlo.