L’Ue e l’energia “pulita” delle centrali nucleari

di Dario Rivolta * –

In questi tempi in cui si affaccia il panico per la possibile mancanza di energia sufficiente per affrontare i freddi del prossimo inverno e per garantire il funzionamento del sistema industriale, sono tornate a galla le dichiarazioni a favore dell’utilizzo dell’energia ottenuta da centrali nucleari. Anche a Bruxelles e a Strasburgo, su pressione francese, si è deciso che il nucleare è “pulito” e diventi un obiettivo energetico su cui puntare per “salvare” l’ambiente e combattere il riscaldamento climatico. Anche chi ha inventato il fenomeno mediatico Greta Thunberg le ha fatto dire al mondo che l’energia nucleare è “bene” e che rappresenta la valida alternativa “rinnovabile” agli inquinanti carbone e petrolio. In uno slancio di resipiscenza, la Commissione europea ha salvato, seppur in sola via provvisoria, anche l’utilizzo del gas fino a che le fonti di energia verdi saranno sufficienti a darci quanto basterà per produrre tutta l’elettricità che ci serve per mantenere lo standard di vita cui siamo abituati e a cui non vogliamo rinunciare.
In Italia si votò con un referendum nel 1987 e un secondo nel 2011 per chiudere le centrali nucleari. Nonostante la stragrande maggioranza dei votanti si espresse contro la produzione di energia con quel metodo, i fan del nucleare sono tornati a cercare di spingerlo come soluzione neo-ambientalista.
Purtroppo costoro fingono di non sapere che con qualunque forma di produzione, ivi compresa la fissione nucleare, resterà sempre una quota di energia (a parte l’elettrica) che sarà espulsa all’esterno influendo così in qualche modo sull’ambiente generale. In altre parole, anche senza emissione di CO2 (apparentemente assente nella produzione di energia elettrica da centrali nucleari), si avranno comunque effetti collaterali negativi per l’ambiente. Ho scritto “apparentemente”, suscitando forse qualche sorpresa, perché la CO2 è comunque prodotta per ottenere il materiale fissile (uranio, ad esempio,) per costruire la struttura e, ancora di più per smantellarla a fine della sua vita utile (da quaranta a sessanta anni).
Di là dalla produzione di CO2, comunque prodotta, il più grave degli effetti immediati è la presenza di scorie radioattive derivanti dalla fissione del nucleo. Si tratta di ben 250mila tonnellate di scorie attualmente presenti nel mondo come risultato delle centrali ad oggi in funzione (circa 440 nel mondo). Al loro interno ci sono materiali di varia radioattività la cui durata venefica può durare tra i 30 giorni e i millenni (ad esempio, lo iodio perde le sue potenzialità nocive massime in pochi giorni, il cesio in 30 anni (con effetti nocivi che durano almeno 300 anni) e il plutonio in 24.000 anni). Non c’è alcun modo di eliminare queste scorie e devono forzatamente essere messe in luoghi e con modalità tali da non poter essere avvicinabili da esseri viventi di ogni tipo, pena conseguenze che possiamo solo immaginare.
Il fatto è che ad oggi nel mondo non esistono depositi “definitivi” per il loro stoccaggio. Una soluzione disumana, per quanto a volte applicata da qualcuno e in specie da organizzazioni criminali, è la loro esportazione in Paesi sottosviluppati dietro pagamento di un certo compenso. A volte, navi che trasportavano tali detriti sono “sfortunatamente” affondate in mare aperto. La maggior parte è invece sistemata in barili d’acciaio multistrato nelle vicinanze delle centrali stesse. Solamente in Germania si trovò un deposito considerato sicuro e, quindi, definitivo. Si trattava di una ex miniera di salgemma in Bassa Sassonia ove vennero stoccate scorie dal 1967 al 1995. Purtroppo, nonostante la presunta mancanza di umidità e la profondità della miniera, si scoprì che le acque superficiali erano state contaminate da salamoie contenenti cesio 137, stronzio e plutonio. Ora si sta pensando di ri-estrarre i barili con le scorie per sistemarli altrove con nuove e ancora maggiori misure precauzionali. Costi per la sicurezza di queste movimentazioni a parte.
Proprio per la pericolosità naturale data dalla presenza di scorie, è bene ricordare che qualunque deposito le custodisca deve essere refrigerato, poiché quei materiali generano calore e ciò può danneggiare irreversibilmente i loro contenitori. Supponendo pure che sia possibile trovare una qualche soluzione duratura per le scorie radioattive, restano altri problemi.
Innanzitutto, la costruzione di una nuova centrale con le tecniche attuali richiede dai dieci ai quindici anni e la sua vita stimata non è superiore ai sessanta. Dopo aver considerati gli enormi costi per realizzarla e ancora di più per poi smantellarla, non va dimenticato che tutti i componenti della struttura hanno assorbito nel frattempo parti di radioattività e andranno trattati di conseguenza. Inoltre, il rendimento è relativamente basso e cioè vicino al 33%. Il resto è calore da smaltire nell’atmosfera o in qualche corso d’acqua nelle vicinanze. Solitamente si tratta di acque non contaminate rimaste esterne al nucleo ma, quelle uscite dalla centrale di Fukushima erano radioattive per aver raffreddato reattori già danneggiati. Ciò nonostante, pur di liberarsene, furono scaricate nell’oceano Pacifico.
I sostenitori del nucleare parlano tuttavia di centrali di “nuova generazione” vantandone l’estrema sicurezza. Questo è un falso mito. Infatti, ad ora non esistono che quattro impianti di questo tipo e solo a livello sperimentale. Si presume che non possano essere realmente funzionanti prima dei prossimi quindici anni. Non ha senso, quindi, pensarli come una soluzione all’attuale problema energetico. Anche in queste “nuove” centrali, comunque, se per un qualsiasi errore tecnico o umano il raffreddamento dell’impianto si bloccasse possono verificarsi esplosioni e reazioni chimiche incontrollate. Più o meno lo stesso di ciò che successe all’impianto “vecchio” di Chernobyl.
Supponiamo comunque che tecnicamente tutto sia perfetto. L’attuale situazione della centrale di Zaporizhzhya dovrebbe farci pensare attentamente a quale rischio una centrale nucleare potrebbe farci correre in caso di guerra. È pur vero che il decidere di bombardare una realtà simile sarebbe un crimine umanitario, ma cosa farebbe un Paese messo alle strette da un’imminente sconfitta definitiva e con nulla più da perdere? Per non parlare di attentati terroristici organizzati da organizzazioni spregiudicate. L’obiettivo di questi ultimi potrebbe non essere necessariamente la centrale stessa, bensì basterebbe loro prendere di mira i depositi delle scorie o i trasposti del materiale fissile già trattato. Vogliamo vivere tutta la nostra vita in uno stato di polizia per proteggerci dalla possibile catastrofe di cui potremmo essere vittima?
Tutti sappiamo che una potenziale soluzione alla gran parte dei problemi su citati potrebbe trovarsi in un’altra metodologia di nucleare: quella a fusione. In questo caso, è risaputo che non ci sarebbero scorie e che questo tipo di impianto risulterebbe più “pulito”. In realtà, anche nella fusione qualche residuo radioattivo resterà nei materiali delle strutture, per quanto in misura minore rispetto alla reazione a “fissione. Non c’è comunque da farsi illusioni in questa direzione sul breve periodo! Sono almeno cinquant’anni che si afferma che di lì a cinque, sei anni, si potrebbe cominciare a produrre energia grazie alla fusione del nucleo. Anche recentemente, nel febbraio scorso, con gran battage è stato annunciato che si era riusciti ad ottenere da un laboratorio sperimentale una quantità di energia utilizzabile. Salvo che l’energia ottenuta lo è stata solo per cinque secondi e che la forza elettrica era sufficiente soltanto per far bollire una pentolina d’acqua. Inoltre, cosa ancora più importante, l’energia necessaria per arrivare a quel risultato è stata maggiore almeno un migliaio di volte rispetto a quella ottenuta.
Nessuna speranza dunque? Sinceramente, credo che si possa ancora sperare di avere nuove e (si spera) rinnovabili fonti di energia. Occorrerebbe però che la smettiamo di ventilare ipotesi di nuove centrali a fissione. Occorre che anche i Paesi europei che attualmente ne hanno comincino a programmarne la chiusura (la sola Francia ne ha 56) e che, senza più chiacchere, da Bruxelles e da tutte le capitali europee si decida di finanziare importanti investimenti nella ricerca sia del sistema a fusione sia, soprattutto, nelle tecnologie per stoccare l’energia elettrica prodotta anche se non immediatamente utilizzata. Quella della conservazione dell’energia è la vera frontiera del futuro! Non inutili fantasie su “centrali a fissione di nuova generazione”.
Chi giustamente si preoccupa di non lasciare a figli e nipoti una terra invivibile, pensi che lasciare loro le scorie radioattive sarebbe perfino molto peggio che adattarsi a un cambiamento climatico, comunque dimostrato come ineluttabile.

Tutti i dati citati sono tratti dal libro di Angelo Tartaglia: “Spaccare l’atomo in quattro”. Tartaglia è un ingegnere nucleare che è stato docente di fisica presso il Politecnico di Torino.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.