L’Ue parla di ambiente… ma non dice tutta la verità

di C. Alessandro Mauceri –

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha presentato il piano FitFor55 contenente alcune delle misure per la “rivoluzione verde” entro il 2030. La prima è ridurre del 55% (da cui il nome poco originale del programma) le emissioni di CO2 con l’obiettivo finale di azzerarle del tutto entro il 2050. Una rivoluzione “verde”, che per la von der Leyen “è il nostro compito generazionale, che ci deve unire e incoraggiare. Non si tratta solo di assicurare il benessere della nostra generazione, ma anche quella dei nostri figli e nipoti”.
Sorprendenti alcune delle misure trainanti della Commissione europea, come lo stop alla vendita di auto benzina e diesel a partire dal 2035. Un obiettivo che, secondo la von der Leyen sarà raggiunto gradualmente e verrà accompagnato dalla creazione di un nuovo “mercato” della CO2 per il trasporto su gomma e per gli edifici.
Molti i dubbi sul programma, a cominciare dalle risorse destinate a questa misura: gli introiti derivanti dallo scambio per la CO2 finiranno in un fondo per clima, dal valore stimato di 70 miliardi (in 7 anni). Soldi che saranno destinati a cofinanziare al 50% l’acquisto di auto a “zero emissioni” e alla riqualificazione energetica degli edifici. Premesso che 70 miliardi per la riqualificazione energetica degli edifici di tutti i paesi dell’Unione richiederebbero una somma di gran lunga maggiore, le maggiori perplessità riguardano la decisione di cancellare il trasporto su gomma non completamente elettrico.
La prima nasce proprio dalla fonte energetica: l’energia elettrica, in barba alle promesse fatte finora, in molti paesi europei ancora viene prodotta prevalentemente mediante combustibili fossili. Vietare l’uso non solo delle auto a benzina e gasolio ma anche le ibride, comporterebbe solo spostare le emissioni dalle auto alle centrali elettriche, come dimostra la costruzione dei gasdotti trans-europei e le trivellazioni in corso nel Mar Mediterraneo.
A questo si aggiungono tanti altri problemi dei quali la von der Leyen non ha parlato. Utilizzare solo auto elettriche presuppone un aumento spaventoso dei consumi di energia elettrica. Ma questo richiederà modifiche sostanziali agli impianti di produzione, la domanda crescerebbe in modo esponenziale. E anche alle linee per la fornitura di energia elettrica. Fuori e dentro le città dove dovrebbero essere realizzati un numero spaventoso di punti di ricarica, e ricaricare un’auto elettrica non è come fare rifornimento ad un’auto tradizionale: se il primo richiede pochi secondi o, al massimo, qualche minuto, il secondo richiede molto più tempo. Sarà necessario anche prevedere impianti per la gestione dei rifiuti speciali, oggi estremamente inquinanti, costituiti dall’aumento del numero di accumulatori dismessi.
E ancora. A meno di imprevedibili scoperte tecnologiche, questo significherà anche un cambiamento negli stili di vita dei cittadini: le auto elettriche non hanno certo la stessa autonomia delle auto tradizionali o ibride.
Ma non basta. Se a livello privato la cosa potrebbe forse essere credibile, certamente non lo è nel settore dei trasporti di merci: oggi non esistono camion dotati di motori completamente elettrici in grado di svolgere il lavoro che fanno i “normali” TIR. E visto che è a loro che in Europa è affidato il compito di trasportare gran parte delle merci, pensare di eliminare del tutto i combustibili fossili appare inverosimile.
Tra le principali responsabili delle emissioni di gas nocivi ci sono le navi mercantili, quelle che trasportano più dell’80% delle merci scambiate nel mondo e più del 70 per cento del loro valore, e le navi da crociera. Le navi sono efficienti come forma di trasporto, mentre i camion producono molte più emissioni a parità di merci trasportate. Ma in termini assoluti le navi sono forse la principale fonte di emissioni e di inquinamento al mondo: i carburanti che utilizzano sono tra quelli più inquinanti, e stando allo studio di T&E-Transport&Environment, centro ricerche con sede a Bruxelles sostenuto da 60 diverse associazioni ambientaliste dell’Unione Europea, il quale è stato svolto col supporto di immagini satellitari, solo le ciminiere della flotta del più importante operatore del mondo delle crociere (Carnival) emetterebbero dieci volte più ossidi di zolfo dell’intero parco auto circolante in Europa. Caso esemplare quello di Barcellona: le 105 navi da crociera approdate qui in un solo anno hanno rilasciato nell’atmosfera oltre 33mila tonnellate di ossidi di zolfo, a fronte di meno di 7mila tonnellate di emissioni da parte dell’intero parco circolante della città catalana (560mila auto). Stessa cosa a Venezia: 27mila tonnellate emesse dalle imbarcazioni a fronte di poco più di 2mila generate dal parco circolante dell’area di Mestre (110 mila auto). E così a Civitavecchia: le 76 navi da crociera approdate nel 2017 hanno comportato emissioni di ossidi di zolfo pari a circa 22mila tonnellate, contro le poche centinaia legate alle 35mila auto immatricolate in città.
Numeri la von der Leyen conosce benissimo: a luglio 2019 fu proprio lei ad annunciare di voler estendere al trasporto marittimo l’attuale sistema di scambio di quote di emissione, l’EU ETS, che interessa oltre 10mila impianti ad alto consumo di energia come centrali o industrie e i collegamenti aerei interni, in 31 paesi europei. Ad aprile di quell’anno anche il Parlamento Ue riunito in seduta plenaria aveva approvato la risoluzione 2019/2193(INI) sulle misure tecniche e operative per un trasporto marittimo più efficiente e più pulito che prevedevano, tra altro, il taglio del 40% delle emissioni del trasporto marittimo entro il 2030, la promozione dell’uso di combustibili alternativi e lo sviluppo di porti e navi più “verdi”. Poi inspiegabilmente si è deciso di rimandare questo argomento. E si è preferito parlare di auto e non di aerei o navi porta-container.
Anche la scelta di caricare fiscalmente alcuni trasporti non è poi così una decisione sicura, nel medio lungo periodo. A dimostrarlo è quanto sta avvenendo negli USA, dove il Senato del Texas sta valutando se introdurre una forma di tassazione e imporre agli acquirenti di auto elettriche il pagamento di una sorta di superbollo annuale da circa 200 dollari (quasi 168 euro) per compensare il minor gettito fiscale proveniente dalle accise sui carburanti. Le nuove imposte, che se approvate entreranno in vigore dal primo settembre 2021, graveranno su circa 300 mila veicoli e genereranno entrate fiscali per 37,8 milioni di dollari, destinate a salire a quasi 136 milioni entro il 2026 a causa dell’aumento del parco auto. Anche altri stati USA stanno valutando l’imposizione di tasse sui veicoli elettrici: sono allo studio programmi di addebito automatico basati su tariffe legate alle miglia percorse o al peso del veicolo: sette stati stanno conducendo dei test su appositi pedaggi stradali con l’assistenza del Dipartimento dei trasporti degli Stati Uniti. Altri 17 Stati invece hanno avviato programmi pilota per verificare l’introduzione di tariffe legate ai chilometri percorsi.
Il motivo di questa corsa a nuove forme di aggravio fiscale per le auto elettriche è semplice: il mancato utilizzo dei combustibili fossili comporta anche la rinuncia alle accise che in paesi come in Italia potrebbe causare un effetto a catena difficile da gestire. Non finisce qui. Minor gettito fiscale genera minori investimenti, ad esempio, su infrastrutture stradali. Ebbene in un sistema autostradale come quello europeo le conseguenze potrebbero essere molto gravi.
Anche l’aspetto sociale sarà rilevante: convertire la produzione dei motori da benzina o diesel ad elettrico comporterebbe la perdita di posti di lavoro per decine di migliaia di operai specializzati, molti dei quali non sarà facile formare e reinserire nel mondo del lavoro con conseguenze sociali non indifferenti.
Importanti le conseguenze anche dal punto di vista geopolitico. Finora l’utilizzo di auto ibride o a benzina o gasolio ha avuto come effetto collaterale la dipendenza di molti paesi dai paesi maggiori produttori di petrolio. Il cambiamento proposto dalla von der Leyen non eliminerebbe questo problema. Sposterebbe solo questa dipendenza da alcuni paesi verso altri. In particolare quelli che controllano il mercato dei materiali necessario per la costruzione di motori elettrici e accumulatori, e tra questi la Cina.
La verità è che le auto sono responsabili solo in minima parte delle emissioni di CO2. E le autorità di Bruxelles lo sanno molto bene.
Traffico aereo e marittimo sono in netto aumento e cercare di intervenire sul trasporto su gomma (che è bene ricordarlo ancora una volta comprende i TIR e non solo le auto) non servirà a molto.
E di sicuro non basterà a rendere l’Europa “green”.