L’Ue rigida sulle auto inquinanti. Ma ci sono le scappatoie

di C. Alessandro Mauceri

Nei giorni scorsi il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva una norma che dovrebbe rendere più rigorosi i controlli sull’omologazione delle auto e garantire che le norme siano applicate in modo uniforme in tutti i paesi dell’Ue. Il nuovo regolamento, che modifica le regole per “l’omologazione e la vigilanza del mercato dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, nonché dei sistemi, dei componenti e delle entità tecniche indipendenti destinati a tali veicoli, che modifica i regolamenti (CE) n. 715/2007 e (CE) n. 595/2009 e abroga la direttiva 2007/46/CE”, mira a rafforzare l’indipendenza dei controlli e a prevenire i conflitti di interesse, facendo chiarezza sulle responsabilità delle autorità nazionali di omologazione, dei centri di test e degli organismi di vigilanza del mercato. Nel presentarlo al Parlamento europeo il relatore, Daniel Dalton, ha dichiarato che “si tratta di una risposta forte e a livello europeo allo scandalo Dieselgate. Queste nuove norme renderanno le automobili più sicure e pulite e, insieme ai test sulle emissioni di gas a effetto serra, garantirà che non si ripeta più un futuro Dieselgate”. La legge secondo Dalton “offre ai proprietari di auto, all’ambiente e ai costruttori norme eque da applicare nel modo giusto a tutti i livelli”.
A leggere bene il nuovo regolamento però non sono pochi i dubbi che emergono sulla decisione di Strasburgo. Il primo è che il peso di tutto verrà scaricato sui singoli stati: saranno loro che dovranno imporre il rispettare dei regolamento ed erogare le sanzioni (e rendicontarle all’Ue). Ma non basta. La norma appena approvata dagli eurodeputati prevede una via di fuga per gli stati e i costruttori che finora hanno violato i regolamenti. Il primo è che le eventuali sanzioni dovrebbero essere messe in atto a partire dal 1 settembre 2020. Trenta mesi per consentire alle case automobilistiche di continuare a vendere auto inquinanti senza troppi problemi (Dieselgate docet). Inoltre i vari Stati dovranno riferire circa queste sanzioni all’Unione Europea, che relazionerà ai consumatori, solo se sono emesse. In altre parole, basta che “non siano state applicate sanzioni in un determinato anno”, per far sì che “ gli Stati membri non sono tenuti a riferire alla Commissione”. E ai cittadini europei.
Il tutto in un ambiente (mai parola fu più azzeccata) in cui, in barba alle promesse e agli impegni presi anno dopo anno, la situazione non sembra migliorare affatto. Anzi, continua a peggiorare.
Le promesse sbandierate dalle case automobilistiche nei propri spot pubblicitari – di produrre e vendere auto sempre più rispettose dell’ambiente e con minori emissioni – non corrispondono affatto alla situazione reale. Lo ha dimostrato uno studio dell’ European environment agency (Eea): “Gli sforzi per migliorare l’efficienza energetica delle nuove auto vendute nell’Unione Europea sono in stallo nel 2017 rispetto al 2016”. In base a quanto prevede il regolamento (CE) n. 443/2009 l’Eea ha esaminato i dati forniti dai paesi membri dell’Ue per valutare l’efficienza del nuovo parco auto. Ebbene stando ai dati raccolti, invece che diminuire, “le emissioni medie di CO2 di una nuova auto venduta nell’Ue sono aumentate di 0,4 g/km l’anno scorso, a 118,5 g/km”. Il risultato è che in 17 Stati membri dell’Ue, tra cui l’Italia, le emissioni medie di CO2 sono state superiori all’anno precedente, il 2016.
È vero che dal 2010, quando è iniziato il monitoraggio previsto dalla norma dell’Ue, le emissioni sono diminuite, ma l’obiettivo che dovrebbe essere raggiunto nel 2021 di 95 g di CO2/km appare sempre più lontano. E questo, nonostante il considerevole aumento, 42%, di veicoli elettrici ibridi o plug-in (PHEV) e di veicoli elettrici a batteria (BEV) venduti. Come era emerso anni fa (in occasione dello scandalo legato alla vendita di auto progettate per superare i test pur essendo molto più inquinanti di quanto appariva) la procedura di test New European Driving Cycle (Nedc) “risalente agli anni ’70, è obsoleta e non rappresenta le condizioni di guida reali e le emissioni dovute tra l’altro a una serie di flessibilità che consentono ai costruttori di veicoli di ottimizzare le condizioni in cui i loro veicoli sono testati”. Per questo “dal 1° settembre 2017 è stata introdotta la Worldwide harmonized Light vehicles Test Procedure (Wltp) in modo che i risultati di laboratorio rappresentino meglio le emissioni effettive dei veicoli sulla strada”. Peccato che come ha detto l’Eea, “i testi sono stati eseguiti solo per 7.300 veicoli (in pratica lo 0,05% delle nuove immatricolazioni)”.
Ora i produttori di auto dovranno prepararsi a controlli più severi (sulla carta) e su campioni più numerosi. Ma, per farlo, avranno un lasso di tempo di quasi trenta mesi. Intanto i danni sull’ambiente locale (e non solo) potrebbero diventare ancora più gravi. In mancanza di iniziative immediate (è da Kyoto che lo si ripete e poi da Parigi) i cambiamenti climatici legati all’eccesso di emissioni di sostanze inquinanti potrebbero diventare irreparabili. Un recente studio dal titolo “Anthropogenic warming exacerbates European soil moisture droughts”, condotto da un team internazionale di ricercatori coordinati dall’Helmholtz-Zentrums für Umweltforschung (UFZ), ha dimostrato che “un aumento della temperatura globale da 1 a 3 gradi Celsius possa avere un impatto significativo sulla diffusione della siccità del suolo in tutta Europa”. “Il riscaldamento globale esacerbererà la siccità del suolo in Europa: le siccità dureranno più a lungo, influenzeranno aree più grandi e avranno un impatto su più persone. Se la Terra si scalda di tre gradi Celsius, eventi estremi – come la siccità che ha colpito grandi parti dell’Europa nel 2003 – in futuro potrebbero diventare lo stato normale”. Un dato allarmante ma che, a quanto, pare non preoccupa i parlamentari a Strasburgo.