L’Ue sospende la Via della Seta ferroviaria: vuole vederci chiaro sulla concorrenza

di C. Alessandro Mauceri

Una nuova “Via della Seta”, così è stata definita la ferrovia transcontinentale che avrebbe dovuto collegare la Cina con buona parte dei paesi dell’Europa. Una linea ferrata che avrebbe dovuto collegare Pechino con Londra per trasportare persone e, soprattutto, merci.
Un progetto faraonico che potrebbe consentire scambi economici rilevantissimi, ma che è esso stesso un affare. Almeno per il gruppo di imprese cinesi che dovrebbe realizzare l’opera da un miliardo e mezzo di dollari: il consorzio, formato da due aziende, la China Railway International Corporation e la Export Import Bank of China, e dalle Ferrovie dello Stato ungheresi, è saldamente nelle mani dei cinesi che controllano l’85% delle azioni.
Sarebbe questo uno dei motivi addotti dai funzionari Ue che hanno deciso di bloccare i lavori per verificare la corrispondenza degli appalti alle normative europee nonostante le credenziali tecnico-ferroviarie dei cinesi, leader mondiali del settore con progetti incorso in oltre 60 Paesi, siano impeccabili (almeno sulla carta). Come hanno svelato funzionari europei al Financial Times, l’accordo è finito sotto la lente di Bruxelles che intende verificare se il progetto serbo-magiaro-cinese “ha violato le leggi europee, che stabiliscono che debbano essere indette gare per appalti pubblici relativi a progetti di trasporto”. L’Ue intende verificare, tra l’altro, se i lavori saranno effettuati mediante bandi di gara e appalti oppure su “chiamata diretta”, coinvolgendo quindi solo aziende locali e cinesi e violando così le regole sulla concorrenza. “Non si tratta di un’indagine o di una procedura di infrazione per mancato rispetto delle regole europee, ma di un dialogo, di una richiesta tecnica di chiarimenti”, ha diplomaticamente dichiarato un portavoce della Commissione.
Meno diplomatico il giudizio dell’ambasciatore tedesco a Pechino, Michael Clauss, che affermato senza mezzi termini che Berlino vede l’espansione cinese nell’Europa orientale, ferrovia inclusa, come “incompatibile con l’impegno a creare una Ue forte e unita”. Una presenza, quella cinese in Europa, che inevitabilmente farebbe cadere in secondo piano il peso finora esercitato dalla Germania in tutte le decisioni dell’Ue.
Di diverso avviso le autorità ungheresi e serbe che stentano a colmare il gap che separa le loro infrastrutture da quelle dei paesi più sviluppati. Quella ungherese è una “rete di trasporti che è al 119esimo posto al mondo su 144 Paesi, dopo lo Zimbabwe”, come riportato in un rapporto dell’European Council on Foreign Relations. Per questo il progetto “made in China”, piace molto alle autorità ungheresi. Dello stesso avviso anche il ministro dei Trasporti serbo Zorana Mihajlovic: “Da due anni, siamo in contatto con la Commissione europea e parliamo di ciò che fa la Serbia”.
Non è la prima colta che l’Ungheria di Viktor Orban cerca di aprire le porte verso oriente: già alcuni anni fa era avvenuta la stessa cosa per un progetto che riguardava la realizzazione di una centrale nucleare. Anche in quel caso si trattava di un progetto faraonico (12 miliardi e mezzo di euro) per la costruzione di una centrale nucleare in Ungheria. In quel caso era stato deciso l’affidamento dei lavori all’impresa di stato russa Rosatom. E anche in quel caso l’Ue aveva cercato di bloccare i lavori. Alla fine, però, l’Ue fu costretta ad ammettere che era tutto in regola.
Sono in molti ad affermare che in realtà dietro ai cavilli burocratici ci sono altre paure. Come quella che la ferrovia, se realizzata, costituirebbe un tassello della nuova “Via della Seta”: un progetto da 40 miliardi di dollari avviato nel 2013, che mira a collegare la Cina con uno dei più floridi mercati del mondo. Quella che l’Ue ha bloccato sarebbe solo una maglia di quella che Pechino chiama “l’iniziativa One Belt One Road”, la nuova Via della Seta: uno strumento per facilitare l’arrivo di prodotti “made in China” nel cuore dell’Europa.
Un’opera di queste dimensioni avrebbe inevitabilmente ripercussioni anche dal punto di vista geopolitico e permetterebbe al paese orientale di allargare la propria influenza commerciale e politica sull’Europa. Un’espansione che procede ormai a ritmo spedito, da diverso tempo, in molti paesi e in molti settori. In Serbia un colosso cinese delle costruzioni realizzerà un tratto del grande raccordo attorno alla capitale serba. La Croazia ha siglato con questo paese un memorandum d’intesa nel settore dei parchi industriali e delle aree portuali. “Si tratta di un buon quadro per possibili investimenti cinesi in Croazia, nelle infrastrutture e nel commercio”, ha dichiarato il ministro dell’Economia, Martina Dali. Il progetto “dei tre mari, Baltico, Adriatico e Mar Nero”, da collegare ovviamente tramite la “One Belt One Road”. Un progetto al quale anche la Lettonia ha espresso il desiderio di aderire. Anche la Slovenia pare aver rivolto il proprio sguardo più a oriente che ad occidente e ha sottoscritto un accordo di collaborazione da 500 milioni di euro tra la Pipistrel e la cinese Sina, che prevede che “Sina avrà diritto esclusivo per l’utilizzo della tecnologia di Pipistrel per la fabbricazione dei modelli Alpha Electro e Panthera Hybrid in Cina”. E poi l’autostrada Banja Luka-Spalato, le centrali elettriche in Bosnia e Romania, strade e navi in Montenegro, e la modernizzazione delle ferrovie in Macedonia. Tutti progetti che dimostrano come mentre i media europei ed americani dibattevano su accordi più o meno vantaggiosi per le imprese di entrambi i continenti, qualcun altro aveva già allungato le mani sui mercati europei.